26 Dicembre 2004. Melissa, Stefano e il loro piccolo Niccolò, all’epoca di diciotto mesi, sono in vacanza nell’Oceano Indiano a Phuket, in uno dei più suggestivi luoghi del pianeta.
Hanno raggiunto in barca una piccola isola. Melissa è sulla spiaggia con il figlio. Stefano sta effettuando un’immersione.
Tutto è pacifico. Perfettamente sereno.
Improvvisamente, un’onda. Alta, agghiacciante, accompagnata da un rumore sordo e potente. È uno tsunami, che travolge Melissa, spezzandole i legamenti delle ginocchia. Non un preavviso. Solo una potentissima onda d’urto contro la quale la giovane madre non può fare nulla.
Niccolò è lì con lei. Ma l’onda inghiotte il suo piccolo corpo e lo scaraventa sopra un mucchio di detriti che l’onda stessa crea.
Stefano, in immersione, sente una forza violenta trascinarlo via. Riemerge in superficie. Guarda la spiaggia.
Non c’è più nessuno. Solo un assordante silenzio.
«È come stare in una piazza piena di gente – racconta Stefano in un’intervista a Repubblica il 23 dicembre 2014 – chiudere gli occhi un istante, riaprirli e non trovare più nulla intorno a te».
Stefano raggiunge i resti di una barca rimasta incastrata negli scogli, e si precipita sulla spiaggia. Vede Melissa trascinarsi verso i detriti sopra cui è riuscita a scorgere Niccolò. La leggerezza del suo peso l’ha salvato, portandolo in alto.
«Quando li ho ritrovati – prosegue Stefano nell’intervista – ci siamo abbracciati e abbiamo pianto».
La coppia ricorda la tempestività e lo sforzo dei gruppi di Ricerca e Soccorso. Ma sopravvivere lascia segni indelebili e la famiglia ha deciso di domare questi dèmoni ritornando, dopo anni, nello stesso posto. Nello stesso giorno.
Perché nel riuscire a sopravvivere c’è una forte componente psicologica. E se i tre, grandi protagonisti di questa storia hanno avuto fortuna quel giorno, a loro va il merito di essere stati capaci di sopravvivere all’impatto duraturo e brutale della tragedia sulle loro vite.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com