Quando si parla di Vita e di Natura e della loro sempre più urgente tutela di solito si parte “volando alto”: si pensa alla biodiversità intesa come flora e fauna, si pensa al mare, ai parchi e alle aree protette, oppure alle varie forma di inquinamento che colpiscono l’aria e l’acqua. Di rado si parte dalla natura più vicina a noi, quella poco appariscente, ma anche più a portata di mano, anzi di piedi: il suolo sotto le nostre scarpe.
Ovvero quel sottile strato di terreno, costituito da una miscela porosa di minerali (45% del suo volume), aria (25%), acqua (25%) e materia organica (5%) che si spinge sino a circa 200 cm. di profondità.
Forse perché poco appariscente e affascinante (sempre calpestato, avrebbe forse bisogno di un buon ufficio marketing?), forse perché poco conosciuto o magari perché esiste da sempre ed è sempre lì: fatto sta che il suolo viene dato per scontato, proprio come l’aria e l’acqua, e proprio come loro è da sempre considerato da un certa economia liberista molto superficiale, una risorsa rinnovabile e quindi sostanzialmente sempre a disposizione.
Eppure il suolo è l’unica componente terrestre che trasforma la morte in vita, la cacca in cibo, come scrive provocatoriamente William B. Logan.
Tuttavia, se siamo ormai sempre più consapevoli che aria e acqua non sono affatto risorse infinite, nei confronti del suolo questo livello di coscienza ancora manca ai più. Forse perché quando l’aria e l’acqua sono contaminate ce ne accorgiamo immediatamente o quasi, spesso sulla nostra pelle, mentre per il suolo ciò è molto meno palese. Anzi, lui le porcherie le nasconde, le occulta e solo con difficoltà le possiamo portare alla luce. Solo andando a cercare e a scavare, ovvero facendo fatica, le possiamo trovare e allora magari ci accorgiamo improvvisamente di quanto sia compromessa e grave la situazione.
È il caso, in Italia, per esempio della tristemente famosa “Terra dei fuochi” in Campania. Ma vale la pena ricordare che a livello mondiale la desertificazione, la salinizzazione, l’erosione, l’inquinamento e non ultima la continua antropizzazione (con l’impermeabilizzazione artificiale dei terreni) ha causato una continua perdita di suoli vitali (ovvero coltivabili) che ormai colpisce circa 1/4 delle terre emerse.
Ed è giusto preoccuparsi del consumo di suolo legato all’urbanizzazione selvaggia (vedi le importanti campagne di Legambiente), ma vi sono fenomeni che stanno avvenendo a scale ancora maggiori.
Per esempio la sola salificazione dei terreni ha raggiunto i 62 milioni di ettari (varie fonti), ovvero circa il 20 % delle terre coltivate del mondo, con 2000 ettari di terreni produttivi persi ogni giorno da almeno 20 anni.
E se questo problema sta colpendo soprattutto le zone aride e semiaride del pianeta (tra cui spiccano, fuori dall’Africa, la Cina e l’India), in Europa avanza la perdita di suoli dovuta ai vari tipi di dissesto idrogeologico: 115 milioni di ettari, pari al 12 % della superficie totale delle terre emerse europee, sono soggetti ad erosione idrica, mentre altri 42 milioni di ettari sono colpiti dal fenomeno dell’erosione prodotta dal vento.
Con spese ormai insostenibili: nel solo 2015 il costo di questo tipo di degrado a livello globale è stato stimato attorno ai 441 dollari per ettaro, con perdite di 27,3 miliardi di dollari per anno. Nella sola India sono state registrate diminuzioni di rese produttive dovute ai terreni resi salini pari al 40 % per il frumento, al 45 % per il riso, al 48 % per la canna da zucchero, al 63 % per il cotone. A livello globale il grano ha registrato una perdita del 32 % e il riso del 55 %.
E se basta poco per “uccidere” un terreno fertile (per esempio con una bella gettata di asfalto o di cemento), è bene ricordare che per produrre in modo stabile circa 2,5 centimetri di suolo ben strutturato occorrono in media 500 anni! Tra l’altro, stanti i delicati processi e gli scambi terra-aria-acqua che stanno alla base della vita nei suoli, non sempre per ripristinarla è sufficiente rimuovere eventuali coperture artificiali che ne avevano compromesso la funzione. Dipende da quanto tempo il suolo è rimasto sigillato e come.
Ma senza arrivare ad avere terreni completamente sterili, come appunto quelli salificati, si calcola che ormai il 45 % della superficie dei 320 tipi principali di suoli europei presenti uno scarso contenuto di materia organica, (ovvero sotto il 2%).
Eppure il suolo, assieme all’acqua, è la base di gran parte dei processi vitali, contiene almeno il 25% della biodiversità del Pianeta (di cui solo una minima parte conosciuta) e contribuisce ad “intrappolare” gran parte dell’anidride carbonica atmosferica (dalle due alle quattro volte). Ciò perchè il suolo trattiene molto e rilascia poco e lentamente, al contrario della vegetazione e del mare, dove gli scambi sono, invece, molto più veloci.
Tra l’altro i principali ecosistemi terrestri “catturatori” di CO2 non sono le foreste, come qualcuno potrebbe pensare, bensì le paludi e le praterie.
Attraverso i terreni liberi avvengono poi un’infinità di interessantissimi scambi fisici e biochimici che ci portano a considerare il suolo anche come una sorta di super-organo di senso del Pianeta.
Possiamo infatti considerare a tutti gli effetti il suolo come la pelle della Terra. Eppure noi lo stiamo uccidendo, stiamo necrotizzando il Mondo.
Nel prossimo pezzo, tra qualche giorno, vedremo cosa possiamo fare, anche come singoli, per arrestare o almeno rallentare questa tendenza scellerata e suicida.
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