La rete è il crocevia di tanti traffici e certamente non possono mancare all’appello quelli relativi alla natura; così il commercio di animali e piante trova in internet un mezzo efficace e anche relativamente sicuro per realizzare profitti. Annunci di vendita di specie soggette al controllo della legislazione CITES, in quanto minacciate di estinzione, compaiono senza nascondersi troppo sui vari siti di annunci e vendite online di tutto il mondo, da parte di organizzazioni o privati che spesso hanno sedi in paesi dove il rispetto delle normative sulla protezione di fauna e flora sono scarsamente applicate.
La svolta entro il 2020
Ma dal 2020 tutto questo potrebbe cambiare grazie a un accordo che coinvolge, per la prima volta, le major che si occupano di servizi tecnologici e di vendite online. Il 7 marzo 2018 ben 21 compagnie che operano nel settore tecnologico e del commercio, sparse ai quattro angoli della Terra, hanno deciso di dare vita alla Global Coalition to End Wildlife Trafficking Online con lo scopo dichiarato di ridurre dell’80% il traffico di specie protette e loro derivati, davvero non poco. La coalizione nasce da un progetto comune di Google e del WWF internazionale e mira a rendere le piattaforme online non utilizzabili per il commercio di specie minacciate, grazie anche alla collaborazione del servizio TRAFFIC, che si occupa di monitorare il commercio di animali e piante protetti dalla CITES e dell’associazione internazionale IFAW (International Fund for Animal Welfare).
Il sì di social e big dell’e-commerce
La coalizione si impegna a non indicizzare e a non far comparire pubblicità di siti che commerciano in specie protette e a bloccare tutte quelle pagine, anche sui social, che possano essere coinvolte in attività legate al traffico di natura. Hanno accettato di aderire alla Coalizione praticamente quasi tutti i big del commercio online e moltissime piattaforme social: Alibaba, Baidu, Baixing. eBay, Etsy, Facebook, Google, Huaxia Collection, Instagram, Kuaishou, Mall for Africa, Microsoft, Pinterest, Qyer, Ruby Lane, Shengshi Collection, Tencent, Wen Wan Tian Xia, Zhongyikupai, Zhuanzhuan e altri 58 gruppi minori, spinti da WWF, TRAFFIC and IFAW. Al momento non si hanno notizie sulle motivazioni che hanno portato Amazon a scegliere di non far parte della coalizione, calcolando il grande impatto che avrebbe avuto il colosso del commercio online.
Le parole di David Graff, il responsabile delle politiche sulla fiducia e la sicurezza di Google non lasciano dubbi sul forte convincimento del colosso americano di operare seriamente per il contrasto del traffico: «Google è orgogliosa di essere partner del WWF come fondatore e membro di questa grande colazione, che è riuscita a unire grandi compagnie per la tutela delle specie minacciate anche dal traffico illegale che transita attraverso la rete».
Il lato oscuro del Web
Del resto che internet sia diventato il crocevia di affari illeciti è una certezza raggiunta da tempo sia dalle organizzazioni delle Nazioni Unite che dalla stessa Interpol: quest’ultima organizzazione ha aperto un settore per il contrasto dei crimini ambientali, divenuto un punto di riferimento per il contrasto al traffico internazionale di specie protette. Ogni anno si stima che siano uccisi più di 20.000 elefanti per le loro zanne, così come non si ferma la strage per il commercio dei corni di rinoceronte, per il quale vengono uccisi tre rinoceronti ogni giorno. Più gli Stati adottano politiche restrittive sul commercio e più la rete diventa il punto di riferimento e la piazza commerciale più importante per il traffico illegale.
Considerando l’importanza delle compagnie coinvolte in quella che è la prima azione planetaria per tutelare le specie in pericolo di estinzione, messa in atto non più sulla rete ma proprio chiudendo le maglie della rete, ci sono valide ragioni per ritenere che questa possa tradursi presto in un’azione di tutela concreta. Non propaganda, non informazione ma un’attività tangibile destinata a togliere importantissime fette di mercato a chi traffica attraverso internet per vendere prodotti derivati da crimini contro l’ambiente, mettendo in pericolo la biodiversità del nostro pianeta.
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