Tra le tante categorie ittiologiche non manca neppure quella dei pesci storici, cioè dei pesci la cui esistenza è profondamente intrecciata con la storia dell’uomo, come la triglia.
A prescindere dalle quattro specie di rilevanza mondiale come aringa, salmone, merluzzo nordico e tonno, ne esistono molte altre di interesse più locale, ma sempre viste con un occhio di riguardo da parte dell’uomo.
A queste ultime appartengono le triglie di scoglio (Mullus surmuletus) e di fango (Mullus barbatus), che nel tempo si sono conquistate uno spazio storicamente interessante e che qui sono rappresentate da due scatti che devo alla cortesia di Marco Giuliano.
Delle triglie – di quelle che tutti abbiamo visto in pescheria e che i subacquei incontrano abitualmente nel corso delle loro immersioni – e delle loro abitudini ha scritto Aristotele, il grande filosofo e scienziato dell’antichità.
Ne ha parlato anche Plinio, che nella sua Naturalis Historia decanta la prelibatezza e le virtù medicamentose delle loro carni.
Il filosofo e scrittore Seneca racconta come l’imperatore Tiberio avesse messo all’asta una triglia di peso eccezionale (si parla addirittura di 2,5 kg) che fu oggetto di un’accanita disputa tra due “paperoni”dell’epoca ,come Marco Gavio Apicio, celeberrimo gourmet, e Publio Ottavio che si aggiudicò il pesce per 5000 sesterzi, somma superata dall’imperatore Caligola che ne spese ben 8000 pochi anni dopo.
Nella vita reale le triglie sono ancora più interessanti e si rivelano pesci ideali da osservare e seguire sott’acqua.
Anzi, arriverei a dire che sono il soggetto perfetto per gli “umarell” (*) subacquei, tipologia di curiosi che qui invento e alla quale mi onoro di appartenere.
Impegnate di solito a cercare il cibo, le triglie permettono ai subacquei di avvicinarsi più di quanto farebbero altri pesci.
Ovviamente bisogna essere cauti, ma l’impegno vale la candela. In questo modo si può osservare il tipico e curioso comportamento alimentare di questi pesci che si servono dei loro due inconfondibili barbigli (nella foto) per trovare il cibo, costituito prevalentemente da piccoli crostacei e vermi infossati nei sedimenti.
I barbigli delle triglie sono dei veri e propri food detector essendo disseminati di pacchetti di papille gustative che comunicano con l’acqua circostante tramite un poro e sono innervati da fasci nervosi ad anello (15 ogni millimetro di barbiglio). Il tutto, poi, è collegato a un nervo centrale che conduce gli stimoli elettrici fino al cervello determinando il comportamento predatorio del pesce. Nonostante il loro aspetto delicato, i due barbigli sono abbastanza rigidi e l’umarell di turno lo nota subito perché è evidente che i barbigli smuovono il fondo mentre lo tastano per consentire alla triglia di individuare e afferrare le prede con rapidi movimenti della bocca.
Lo spettacolo, di per sé interessante, lo diventa ancor più quando si scopre che il grufolare delle triglie attira inevitabilmente l’attenzione non gratuita di altri pesci, soprattutto labridi e sparidi, che sono rapidissimi ad approfittare di quanto la triglia pazientemente mette allo scoperto.
Ma le triglie sono gentili e non se la prendono. Tutt’al più si spostano e vanno a pascolare più in là come potrebbero fare delle caprette. Cosa c’entrano le caprette? La risposta sta nel nome che gli anglosassoni attribuiscono alle triglie: goatfish cioè pesci capra. Il motivo? Guardate con attenzione il muso delle triglie e lo scoprirete.
(*) NdR – Per chi non lo sapesse, “umarell” in dialetto bolognese significa “ometto” e si riferisce al tipico pensionato che, con fare indagatore, si aggira per strada con le mani dietro alla schiena.
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