Da un secolo ormai le diplomazie si combattono a suon di numeri e di distinguo sullo spinoso tema del genocidio armeno. La polemica si è inasprita dopo la recentissima dichiarazione di Papa Francesco e la risposta di Ankara non si è fatta aspettare. Dal punto di vista degli annali storici, fu il Parlamento europeo nel 1987 a ufficializzare il termine “genocidio” per la strage degli armeni del 1915, invitando la Turchia ad ammettere le proprie colpe.
Non spetta certo a un giornale di natura occuparsi di casi diplomatici come questo, che peraltro non fanno che destabilizzare il già precario equilibrio fra occidente e oriente; tuttavia spesso è proprio l’approsimazione a livello “scientifico” con cui si filtrano i fatti a compromettere la possibilità di risolvere un problema. Quando, infatti, prevalgono gli attriti di natura politica e sociale vengono trascurati i retroscena culturali, storici e antropologici che, se fossero analizzati in modo adeguato, potrebbero portare a vedere le cose da un nuovo punto di vista, facilitando la disanima.
L’inquadramento storico
Per capire in che modo si è consumato il lungo conflitto turco-armeno è necessario valutare una serie di aspetti di natura antropologica, che rimandano agli albori della civiltà.
Il succo della questione è nella geografia della Turchia. Non è un caso che venga anche definita la culla della civiltà. Qui, di fatto, nasce l’Europa e il mondo di oggi. Qui si sono alternati persiani, macedoni, parti, bizantini, e prima ancora i discendenti dei primi uomini moderni. Da qui sono partiti gli antenati degli azerbaigiani, dei cumani ungheresi, dei tuvani russi e cinesi e di decine di altre popolazioni. La Turchia costituì il ponte ideale per la prima conquista dei Balcani e del Caucaso. Se la giocarono gli antichissimi abitanti dell’Anatolia e i rappresentanti della cosiddetta cultura Kurgan, che corrisposero alla diffusione del paradigma indoeuropeo, padre di tutti noi. Ecco perché la Turchia è ancora oggi di difficile comprensione dal punto di vista globale e perché i dissapori fra i diversi substrati etnologici non capitolano una volta per tutte.
È difficile parlare di popolazioni turche, perché non esiste una sola popolazione, ma un potpourri di matrici etniche. Attualmente il melting pot turco è rappresentata da oltre settanta milioni di persone, ma gran parte di esse sono di origine greca, curda, ebrea, bulgara; c’è il popolo dei laz, turco-georgiano e dei circassi, proveniente dalla Russa meridionale. Senza contare che ogni giorno lavorano e vivono regolarmente all’ombra delle moschee di Istanbul 100mila armeni.
Perché gli armeni?
La domanda è la seguente: perché cento anni fa Mustafa Kemal Ataturk, primo presidente della Turchia, se la prese proprio con gli armeni?
La risposta è di carattere geopolitico più che etnico: gli armeni erano sostenuti dal governo russo che, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, voleva sottrarre territori agli ottomani e magari riuscire anche a imporre la propria legge sul governo della ridente capitale del Bosforo. L’antico Regno d’Armenia dalle acque del Mar Caspio scivolava fino a quelle del Mediterraneo. E agli inizi del secolo scorso gli armeni, quindi, erano sparsi ovunque nella regione.
I turchi coinvolsero i curdi nella battaglia contro quelli che cominciarono a essere considerati come degli intrusi e, con l’arrivo sulla scena dei Giovani Turchi (il movimento politico della fine del diciannovesimo secolo, guidato da Ismail Enver, pronto ad allearsi con i tedeschi), poco prima del primo conflitto mondiale, il disastro ebbe inizio.
Fu genocidio?
Il risultato della serie di avvenimenti appena descritti fu un milione e mezzo di morti (anche se le ultime stime degli storici si fermano a 800mila). Ma è difficile capire dove finisce e dove inizia il concetto di genocidio. Il distinguo s’incentra sulla sistematicità dell’operazione di sterminio.
Nell’Olocausto hitleriano è evidente il tentativo di sterminare gli ebrei; nel caso armeno, secondo l’interpretazione del governo turco, no. E lo proverebbe il fatto che numerosi armeni presenti a Istanbul al momento della deportazione oltre i confini anatolici, non subirono violenze.
Ecco perché Erdogan, dodicesimo presidente della Turchia, contesta le parole del Papa, che sposa la tesi comunemente accettata che si sia trattato del primo genocidio della storia.
Il confronto prosegue in questi giorni, con l’Europarlamento che si schiera chiaramente: “No al negazionismo”. Ma intanto i turchi non mollano, in quello che potrebbe essere solo l’inizio di un nuovo paradossale scontro fra oriente e occidente.
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