Non è una guida su come sopravvivere alle catastrofi. Nonostante le apparenze, l’Atlante per la Fine del Mondo è un lavoro ottimista: una raccolta di dati, mappe e informazioni sulla biodiversità del nostro pianeta.
A quasi 450 anni dalla pubblicazione del primo atlante del mondo ( Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Ortelius) le cose sono cambiate e non poco, l’uomo ha modificato il pianeta e continuerà a farlo ancora per molto tempo.
Ecco perché Richard Weller dell’Università della Pennsylvania ha ben pensato di creare un vero e proprio atlante per fare il punto sul nostro rapporto con la biodiversità.
Un atlante ottimista
Il lavoro riguarda principalmente due aspetti:
- La situazione degli HotSpot di biodiversità, cioè luoghi unici nel mondo, eccezionalmente ricchi di specie e quindi contenitori di un patrimonio biologico inestimabile
- L’espansione delle città in questi HotSpot e le potenziali minacce per le specie in pericolo.
Nell’Atlante, Weller e i suoi colleghi hanno anche valutato lo stato delle cose per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano strategico per la biodiversità 2011-2020 dell’ONU. In particolare l’obiettivo 11, secondo il quale entro il 2020 le aree protette dovranno coprire almeno il 17% della superficie terrestre.
Al momento della stesura dell’Atlante eravamo a quota 15,4 il che significa che mancano ancora 2,327,800 km2 per raggiungere l’obiettivo minimo fissato.
Un dato ancora più grave che emerge da questa ricerca è che dei 36 HotSpot presi in considerazione, solo 14 hanno aree protette che si estendono per più del 17% della superficie.
Altrettanto poco rassicurante è la situazione dell’espansione urbana, le grandi città in prossimità degli hotspot sono 422 e di queste ben 383 si stanno espandendo verso habitat di specie in pericolo.
Avevamo detto però che l’Atlante per la fine del mondo non ha un tono pessimista ed effettivamente è così, lo stesso Weller dice che l’obiettivo è attirare l’attenzione sull’argomento, in particolare spronare quelli che fanno il suo lavoro: gli architetti del paesaggio.
Se è vero infatti che molte risorse si sono spese per pianificare le città, c’è ancora molto da fare nella organizzazione del territorio e nell’interazione fra insediamenti e natura.
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