Da qualche tempo chi pranza da McDonald’s si sente chiedere, per favore, di rinunciare alla cannuccia di plastica. D’accordo – dico – può essere una soluzione, ma il resto del modello imprenditoriale del marchio è sostenibile?
Ormai odiamo la plastica. Non sappiamo bene perché, dimentichiamo che grazie a questo materiale è stato possibile ottenere innovazioni straordinarie in svariati campi, tra cui per esempio quello chirurgico, ma non sopportiamo di vedere un cetaceo spiaggiato col corpo pieno di plastica. Ed è giusto indignarci.
Così niente più cannucce. È una nobile scelta. Come smettere di mangiare frutta esotica, fare il pane in casa, chiedere ai nostri bambini di disegnare sul retro di fogli già usati, usare le scale anziché l’ascensore. Sarebbe ancora meglio rinunciare a prendere un aereo per andare in vacanza all’altro capo del mondo o non acquistare una nuova auto lussuosa, anche se ibrida e perfino elettrica. Ma si vive una volta sola e non si può rinunciare a tutto.
Tornando alla plastica, qualcuno ha fatto notare che dovremmo concentrarci meno sulle cannucce e più sulle pratiche di pesca, perché le prime rappresentano un infinitesimo dei rifiuti di plastica negli oceani mentre le reti di plastica usate per le catture sono disperse ovunque.
Secondo alcuni studi, oltre la metà di tutte le plastiche che raggiungono i mari provengono da cinque paesi: Cina, Indonesia, Filippine, Thailandia e Vietnam. Insomma i nostri beveroni c’entrano poco. Però rinunciare a una cannuccia non costa molta fatica e ci fa sentire meglio. Poi vada come vada.
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