La vitivinicoltura è un’attività che si basa da sempre sulla ricerca di un territorio e un microclima perfetti. Proprio per tale ragione offre uno scorcio interessante per osservare gli effetti sull’agricoltura in relazione ai cambiamenti climatici in corso.
Da qualche tempo si sente ripetere che l’aumento delle temperature potrebbe rendere difficile, se non impossibile, la coltivazione dei vigneti in alcune regioni di antiche tradizioni e favorire invece l’apertura di nuove frontiere.
Una recente ricerca guidata dalla docente di Biologia evolutiva ad Harvard Elizabeth Wolkovich, pubblicata sulla rivista Nature Climate Change, ha messo inoltre in evidenza che oggi l’industria vitivinicola mondiale impiega per la gran parte le stesse dodici varietà di vitigni nonostante ve ne siano a disposizione ben 1.100. In molti Paesi questa concentrazione interessa tra il 70 e il 90 per cento dei vigneti.
È giunto il momento di cambiare rotta. Il gruppo di studiosi è convinto della necessità di studiare meglio le oltre mille varietà dimenticate per cercare quelle capaci di adattarsi meglio al caldo e alla siccità.
I produttori non sono ignari di quel che stanno accadendo e si stanno preparando al cambiamento. «Il nostro è un settore che continua ad ammodernarsi e a sperimentare», spiega Marcello Meregalli, titolare della più importante azienda italiana nella distribuzione di vini. «Oggi, per esempio, c’è molta attenzione al biologico e al biodinamico, quindi nei prossimi anni avremo prodotti diversi rispetto a quelli che conosciamo. Altro fenomeno interessante è la riscoperta dei vitigni autoctoni. Infine c’è un fattore esterno di cui occorre tenere conto, perché condizionerà la viticoltura nei prossimi decenni: il cambiamento climatico».
Sono già numerosi gli effetti evidenti nel settore. Uno per tutti: nel sud del Regno Unito si stanno piantando molti vitigni per fare spumante metodo classico. Il successo delle bollicine inglesi – che è uno dei fenomeni più curiosi degli ultimi anni – è certamente sostenuto dagli investimenti che hanno favorito la nascita di cantine moderne, ma è anche stato reso possibile dal riscaldamento globale che favorisce una migliore maturazione delle uve a quelle latitudini.
«A prescindere dai cambiamenti climatici», aggiunge Meregalli, «è sempre bene orientare le proprie scelte verso ciò che suggerisce il territorio». Non si tratta tanto di tornare indietro, ma piuttosto di guardare al presente del vino pensando a un futuro che deve essere più rispettoso degli equilibri che reggono la natura. Rinomati produttori si stanno muovendo in questa direzione.
«Per fare una buona agricoltura, quindi una buona viticoltura e degli eccellenti vini», spiega Brandino Brandolini, titolare dell’azienda Vistorta a Sacile in Friuli, «è necessario rispettare la vitalità della terra e di tutto ciò che sta attorno. La scelta biologica è una strada pressoché obbligatoria per l’agricoltura del futuro».
Gli fa eco Berenice Lurton, dal 1992 alla guida di Château Climens, vero e proprio gioiello del distretto di Graves (Bordeaux) e zona di culto del Sauternes: «Ho ereditato dai miei predecessori un totale rispetto per la terra, per la vigna e per chi beve i nostri vini. Oggi resto fedele a quei valori, anche quando siamo chiamati a fare scelte che ci permettono di affrontare le questioni moderne legate al nostro settore, che naturalmente sono molti differenti dal passato». Dal 2010 Madame Lurton ha convertito la sua azienda in biodinamica. «Un metodo di coltivazione che riprende gli elementi di una cultura millenaria dimenticati col tempo, ma che stanno tornando fortemente in auge e così sarà sempre di più in futuro. La biodinamica ci permette di ripristinare il suolo delle vigne gravemente colpito dall’utilizzo di prodotti chimici e di ridare al terroir la possibilità di esprimersi in tutta la sua completezza».
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