Un monitoraggio ambientale rapido ed efficace è fondamentale per ottenere una risposta altrettanto rapida ai cambiamenti che possono ripercuotersi negativamente sulla fauna e/o sugli ecosistemi. Tuttavia, questi monitoraggi non sono sempre possibili, a causa degli enormi spazi da gestire, delle poche risorse a disposizione e del tempo limitato per la raccolta di dati di interesse. Ed è proprio in questo contesto che la tecnologia sembra essere indispensabile per il lavoro dei conservazionisti. Tra gli strumenti necessari e sempre più utilizzati, grazie anche a un rilevante abbassamento dei prezzi relativi al loro impiego, ritroviamo i satelliti e i droni. Sebbene queste tecnologie siano nate in ambiti, come quello militare, che poco o nulla hanno a che vedere con la conservazione ambientale, il loro frequente utilizzo viene evidenziato da un crescente numero di studi e ricerche che se ne avvalgono.
Quando il dettaglio conta
Il telerilevamento satellitare viene spesso utilizzato per monitorare lo stato di conservazione di ampie aree che possono anche ricadere sotto varie unità amministrative o addirittura paesi. L’alto numero di satelliti presenti in orbita garantisce una disponibilità costante di dati sulle aree di interesse, 365 giorni l’anno e sotto diverse condizioni climatiche. Non dovrebbero quindi stupirci le magnifiche immagini di diversi documentari, in cui è possibile vedere la portata del fiume Okavango e come il suo delta cambi drasticamente di dimensioni durante la stagione della secca o delle piogge.
Più recentemente, la diffusione di droni ha fatto sì che venissero utilizzati per coprire terreni meno estesi, ma con possibilità di ottenere informazioni in tempo reale e con un maggiore livello di dettaglio. Infatti, questi piccoli velivoli permettono di raccogliere dati in habitat difficilmente accessibili da terra o su parametri che da satellite risulterebbero difficilmente monitorabili, come, ad esempio, il numero di individui presenti in un branco. I bassi costi operativi hanno anche fatto sì che tali strumenti potessero essere alla portata di ricercatori autonomi, con un esponenziale aumento di dati raccolti grazie al loro utilizzo.
Cosa ce ne facciamo di questi dati?
Un’analisi relativamente “semplice” di dati satellitari può servire all’individuazione di cambiamenti nella composizione della struttura vegetazionale che, indirettamente, può darci informazioni su tassi di deforestazione, espansione agricola o estensione dell’impatto di determinate calamità naturali. Tuttavia, i dati satellitari possono anche essere utilizzati per la mappatura e l’individuazione di animali dotati di collari o altri strumenti che inviano segnali direttamente al satellite di riferimento. Tale approccio è stato, ad esempio, adoperato per determinare le aree entro le quali si muove il leopardo delle nevi in Asia.
I droni, invece, dotati di telecamere ad alta risoluzione, possono servire, tra le varie cose, per l’identificazione di cacciatori di frodo e/o per il censimento di specie particolarmente schive. Il loro impiego, oltre a essere economicamente vantaggioso, riduce quindi i rischi per i ranger locali, i quali possono servirsi di una forma di monitoraggio a “distanza di sicurezza”. Infatti, sono stati spesso adottati come deterrente o forma di prevenzione contro il bracconaggio di rinoceronti nell’Africa meridionale.
Infine, i due strumenti analizzati possono anche essere utilizzati sinergicamente, producendo un elevato numero di informazioni con differenti risoluzioni e per un monitoraggio costante da vari punti di vista.
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