Ricorrere all’uso di sostanze stupefacenti non è una prerogativa esclusiva degli uomini. Lo fanno anche alcuni animali e le conseguenze sono molto diverse da quelle osservate della nostra specie.
Una delle argomentazioni più usate contro le droghe è che la loro assunzione è un comportamento autodistruttivo proprio dell’uomo, una sorta di degenerazione della società moderna. Mentre sono innegabili i danni che tali sostanze determinano in chi ne fa uso, scienziati e osservatori della Natura hanno molto da ridire sull’esclusiva appartenenza umana di questo comportamento. Noi uomini, infatti, siamo solo gli ultimi di una lunga lista di animali che fanno uso di droghe.
A tal proposito, già a metà dell’Ottocento lo studioso Paolo Mantegazza segnalava in un suo scritto diversi casi riguardanti gli animali domestici e ricerche successive hanno evidenziato che il fenomeno è molto più esteso di quanto si credesse in un primo momento.
Cosa s’intende precisamente con il termine “droga”?
In questo caso, infatti, non vogliamo parlare delle “medicine naturali”, di cui molti animali fanno uso. Tra queste, per esempio, ci sono i depositi di argilla presenti sulle sponde dei fiumi nell’Amazzonia peruviana, visitati da molte specie, dalle scimmie ai pappagalli, che prelevano e ingeriscono piccole quantità di sedimento per rendere inattive le sostanze nocive assimilate con le piante di cui si nutrono, molte delle quali si proteggono facendo ricorso a particolari tossine. Una droga, invece, una volta assunta induce comportamenti bizzarri e non comuni (da qui il termine “sostanza stupefacente”).
Nel caso degli animali le droghe sono spesso assunte attraverso i vegetali: semi, nettare di fiori, radici, frutti fermentati, ma anche licheni e funghi e, dalle osservazioni fino a ora effettuate, si è piuttosto sicuri che producano effetti simili a quelli osservati sugli uomini come euforia, iperattività, confusione, rilassamento, a seconda delle sostanze e delle quantità ingerite.
In passato si riteneva che, tra gli animali, questi comportamenti fossero del tutto anomali e innescati dalla curiosità di sperimentare di alcuni individui isolati. Ma oggi sappiamo che, dopo aver sperimentato le potenzialità di una sostanza stupefacente, molti animali continuano a drogarsi, seppure senza grandi eccessi, anche se il comportamento risulta dannoso per l’individuo o per la comunità a cui appartiene.
Sorge subito un dubbio: se drogarsi è un comportamento dannoso, perché è sopravvissuto ai “filtri” dell’evoluzione naturale e non è stato progressivamente rimosso, almeno nelle specie che devono affrontare una forte competizione nei luoghi dove vivono?
Rispondere è difficile, ma molti studi hanno dimostrato che la gran parte degli animali assume queste sostanze con “coscienza”, senza cadere completamente in loro potere. Inoltre, sembra che i benefici ottenuti, per quanto effimeri e momentanei, compensino la perdita di efficienza degli individui coinvolti, che possono appartenere a gruppi quanto mai diversi, dalle api agli elefanti.
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