«Voi», disse Candido al turco,«dovete avere una terra estesa e magnifica».
«Venti iugeri appena», rispose il turco, «e li coltivo con i miei ragazzi. Il lavoro ci tien lontani tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno».
Voltaire, Candido
Al di là di riferimenti filosofici e politici contenuti in quest’opera molto particolare, le parole citate suggeriscono un fatto importante: un lavoro sano, equilibrato, che appassiona, aiuta molto. Non ci si riferisce al solo guadagno economico, anzi. I termini sono differenti. Si tratta di autonomia, si tratta di lavorare la propria terra. Non immense tenute, ma venti iugeri appena.
Lavorare la propria terra significa rispettare i tempi della natura, significa colorarsi le mani di fango, riempire i pugni di semi, armarsi di molta pazienza, collaborare con animali e piante, conoscere il tempo meteorologico, vivere particolari emozioni e soddisfazioni.
Tutto questo tiene lontani tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno. Nonostante il Candido sia un’opera del 1759, questo suggerimento di Voltaire pare più che mai attuale. Quando il lavoro non scade in sfruttamento e meccanicismo abitudinario, può riscattare; quando esso è legato da un certo rapporto con la natura è trionfante per l’individuo e di conseguenza per la comunità.
Non è un caso che l’opera si concluda con il protagonista, Candido appunto, che riflette e si esprime così, rispondendo ad un ragionamento ascoltato: «Ben detto, ma bisogna coltivare il nostro orto». Viene dunque riscattato il detto di guardare e coltivare solo il proprio orto nel senso di farsi gli affari propri. Lungi da queste parole intendere ciò.
Coltivare il proprio orto per non essere annoiati, viziosi e bisognosi del superfluo! E poi … coltivando il mio orto, posso sempre condividerne i frutti che la terra mi dona … ed ecco l’incontro con l’altro.
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