Nel cuore dell’Oceano Atlantico il fondale marino sprofonda fino a 4000 metri sotto il livello del mare e si trasforma in una landa spettrale fatta di interminabili distese di rocce e fango che l’uomo ha potuto osservare in rarissime occasioni e solo a bordo di piccoli batiscafi.
Proprio in questo luogo, a 1500 chilometri a ovest del Portogallo e lungo la dorsale oceanica, a partire da 8 milioni di anni fa si sono innalzati giganteschi vulcani che hanno raggiunto la superficie, dando vita all’arcipelago delle Azzorre.
Le nove isole che si sono formate – São Miguel, Santa Maria, Terceira, Graciosa, São Jorge, Pico, Faial, Flores e Corvo – sono oggi una meta turistica molto particolare, adatta a coloro che desiderano rifugiarsi in uno degli angoli più isolati d’Europa.
Qui il clima è decisamente piovoso ma anche in estate, quando le precipitazioni diminuiscono, le isole conservano un aspetto sorprendentemente verde, soprattutto le lussureggianti Flores e Corvo.
Il terreno scuro e lavico, infatti, è molto fertile e così la vegetazione si espande dal livello del mare fino ai rilievi più alti, come sul vulcano estinto di Pico, che sorge sull’isola omonima ed è, con i suoi 2351 metri di altitudine, il monte più alto del Portogallo.
Custodi dei velisti e di antiche foreste
Da quando i portoghesi vi misero piede per la prima volta nel XV secolo, le Azzorre sono sempre state un approdo importante nelle lunghe traversate atlantiche verso le Americhe. Tutt’oggi il porto dell’isola di Faial è un crocevia di velisti che, prima di affrontare l’oceano, riempiono di firme e pittoreschi graffiti i moli della marina.
Ma prima dell’arrivo dell’uomo, l’arcipelago era molto diverso da come lo possiamo osservare oggi: le isole, infatti, erano ricoperte da una foresta peculiare, la “laurisilva” – così chiamata perché al suo interno crescono molte specie affini all’alloro –, oggi ridotta a meno di un quarto della sua estensione originaria.
I resti di queste antiche foreste sono attualmente protetti da piccole riserve naturali nelle zone meno accessibili di Terceira, São Jorge, Pico e Flores. Si tratta di luoghi unici, una sorta di improbabile incrocio fra la macchia mediterranea e una foresta nebulare in miniatura, dove muschi e rampicanti si allungano fra i tronchi e i rami dando vita a un fittissimo intreccio, che intrappola alberi di ogni dimensione.
La vegetazione ricorda quella delle coste italiane più aride, ma la maggior parte delle specie, oltre 60, si trovano esclusivamente qui. Gli esempi sono molti, si va dal ginepro all’alloro, dal pruno alla bacca selvatica, dall’edera all’agrifoglio, tutti accomunati dal fatto di essere specie presenti solo su queste isole.
Un mosaico di giardini naturali
Oltre alla vegetazione endemica, sulle isole troviamo moltissime specie importate dall’uomo, e non solo destinate all’alimentazione. In molti casi le piante alloctone si rivelano dannose perché tendono a insediarsi nelle aree marginali e degradate del territorio e impediscono il ritorno della vegetazione originaria.
Sulle Azzorre, però, il clima favorevole, la bassa densità di popolazione e una certa attenzione all’estetica hanno trasformato la porzione abitata delle isole in un mosaico di giardini naturali, che rendono il paesaggio molto singolare.
Le ortensie, per esempio, sono state introdotte solo pochi secoli fa, ma sono ormai quasi ovunque, sulle scogliere battute dalle onde impetuose dell’Atlantico fino alle pendici rocciose del vulcano Pico.
E non mancano neppure meravigliosi cespugli fioriti di ibiscus rossi e tappeti di fico degli ottentotti, che rivestono le rocce scure delle scogliere.
Il luogo migliore dove osservare questo incredibile campionario di vegetazione è il Parco Botanico di Terra Nostra, sull’isola di São Miguel: decine di ettari di vegetazione tipica dell’isola alternata a specie estranee, come le felci arboree, le ninfee e gli iris. Sempre a São Miguel, sono imperdibili Lagoa Verde e Lagoa Azul, due piccoli laghi intensamente colorati e circondati da ortensie.
Il tesoro è sott’acqua
Al contrario delle piante, gli animali esclusivi delle Azzorre non sono molti. Probabilmente l’arcipelago si è formato in epoche troppo recenti e si trova in una posizione troppo isolata per custodire l’impressionante collezione di endemismi rinvenibile, per esempio, alle Galapagos o nella yemenita Isola di Socotra.
Qui il più noto vertebrato endemico è il ciuffolotto delle Azzorre (Pyrrhula murina): un tempo considerato sottospecie del ciuffolotto europeo, questo passeriforme è presente solo in un piccolo tratto di foresta originaria nella porzione orientale di São Miguel e, pertanto, non è per niente semplice avvistarlo.
Nell’arcipelago è stato censito anche un piccolo pipistrello endemico, Nyctalus azoreum, che si aggiunge ad altre tre specie di chirotteri presenti su queste isole.
Tuttavia, se la terraferma non risulta particolarmente interessante dal punto di vista faunistico, il mare che lambisce le isole brulica di vita e fa delle Azzorre una delle migliori destinazioni al mondo per osservare i capodogli.
L’isola di Pico
Indipendentemente dal giro turistico che avete programmato di fare, dovete assolutamente prevedere una tappa di qualche giorno a Pico. Ciò che rende l’isola una destinazione imperdibile, oltre alle uscite in barca in cerca dei mastodontici cetacei, sono i paesaggi unici creati dalle rocce scure, utilizzate dagli isolani per costituire bassi muretti a secco su cui viene coltivata la vite, che produce un ottimo vino.
Oltre al whale watching in mare, l’Isola di Pico offre escursioni nelle antiche foreste e sulle pendici del vulcano che la domina, la cui vetta può essere raggiunta con un trekking di quattro ore. Ma a Pico non manca neppure la stravaganza che caratterizza buona parte dei luoghi isolati dal resto del mondo. Non distante dall’antico centro baleniero di Lajes dos Pico, a São Joao do Pico, per esempio, si trova il piccolo “Museo del capodoglio e del calamaro”, localmente è conosciuto come Malcolm museum.
Riuscire a scorgerlo non è un’impresa semplice perché le indicazioni sono sommarie e spesso, per arrivarci, è necessario chiedere a chi abita in zona. Solo quando incontrerete un edificio bianco su cui è stato dipinto un realistico graffito di un capodoglio che ha appena catturato un calamaro gigante saprete di essere finalmente giunti nel posto giusto.
Il museo dei capodogli
All’interno di un vecchio garage e in una parte di quella che era la loro casa, il biologo marino canadese Malcolm Clarke e sua moglie Dorothy agli inizi degli anni ‘90 costruirono un piccolo ma originalissimo museo, con reperti e informazioni raccolti nel corso di un’intera vita.
Clarke, che si era imbarcato sulle baleniere subito dopo gli studi, dedicò più di cinquant’anni allo studio di questi cetacei, pubblicando oltre 50 ricerche scientifiche sulle incredibili apnee dei capodogli – più di un’ora a oltre 1000 metri di profondità! – e sui misteriosi calamari giganti degli abissi, le prede preferite di queste balene.
Uno dei pezzi forti del museo sono proprio i calamari abissali ricamati sulla stoffa da Dorothy. Si tratta perlopiù di “pupazzi” a grandezza naturale, come la riproduzione di un giovane Architeuthis in pezza lungo circa 10 metri, con tanto di ventose disegnate.
Notevoli anche gli affreschi a parete, in cui l’anatomia del capodoglio è riprodotta fedelmente, assieme a reperti che hanno dell’incredibile, come gli artigli che ornano i tentacoli del calamaro colossale, ben più impressionati di quelli di una tigre. Dalle finestre della casa-museo, aggrappata alle scogliere meridionali di Pico, nelle giornate di mare calmo si possono osservare i capodogli sbuffare al largo.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com