Chi non è mai stato all’Abbazia di San Galgano, in provincia di Siena, dovrebbe prima o poi colmare questa lacuna. Personalmente ho sempre subito il fascino delle antiche rovine isolate nella campagna. In particolare, le chiese scoperchiate e immerse nel verde, esaltano la mia voglia di romanticismo e di sogni a occhi aperti.
La prima volta che, durante una scorribanda in moto, in compagnia di cari amici, raggiunsi l’Abbazia di San Galgano ne restai letteralmente rapito e da quel giorno ho colto ogni occasione per tornarci e godere della sua visione.
La spada nella roccia
L’Abbazia di San Galgano si trova nella Valle del fiume Merse, nel territorio di Chiusdino. Circondato da morbide colline, il complesso cistercense è composto da un Eremo, conosciuto come la “Rotonda di Montesiepi”, e dalla grande Abbazia scoperchiata, della quale rimangono in piedi unicamente le pareti.
La Storia narra che San Galgano, dopo una giovinezza disordinata, dedita alla violenza e alla guerra, si diede alla meditazione in seguito a due apparizioni di San Michele Arcangelo: il culmine della conversione avvenne il giorno di Natale del 1180, quando conficcò la propria spada nella roccia perché da arma divenisse croce, proprio sul culmine della collina di Montesiepi. Ancora oggi, all’interno della Rotonda, è visibile l’elsa di una spada arrugginita conficcata nella pietra. La vicenda attirò nella zona numerosi pellegrini e Papa Alessandro III benedisse Galgano, incoraggiandolo a fondare un’abbazia in prossimità dell’Eremo.
I lavori per la costruzione della grande Abbazia nella piana del Merse iniziarono nel 1220 e si protrassero fino al 1268; in breve tempo il complesso divenne la più potente fondazione cistercense in Toscana. Nel XIV secolo la potenza politica, economica e culturale dell’Abbazia di San Galgano cominciò a decadere, prima a causa della carestia e poi della peste. La situazione andò peggiorando anche nel XV secolo con l’abbandono del complesso da parte dei monaci. Nei secoli successivi la chiesa, ormai in declino, subì diversi crolli. Per nostra fortuna, alla fine dell’800 ritornò l’interesse per questa importante e romantica rovina e nel 1924 iniziarono i lavori di restauro conservativo.

La bellezza che ti sorprende
Giungere all’Abbazia è un’esperienza fuori dal tempo. Adagiata in una piccola piana tra le Colline Metallifere, la grande chiesa sembra emergere tra i prati all’improvviso dal nulla.
La sua mole e le sue forme, già da lontano, esercitano un notevole fascino, ma è nel suo vasto e spoglio interno, circondati da muri di pietra e bianchi pilasti protesi verso il cielo, che si viene avvolti da un senso di mistico mistero. La pianta, lunga 70 metri e larga 21, è a croce latina, divisa in tre grandi navate in stile gotico-cistercense, sorrette da 16 pilastri i cui capitelli riportano decorazioni floreale. La facciata non fu probabilmente mai completata, mente il campanile è crollato durante i secoli di abbandono.
Ovviamente, dalla mia prima visita, la quantità di turisti si è moltiplicata, nei dintorni sono sorti baretti e il silenzio che ricordavo non c’è più, e se capitate in estate potreste trovare al suo interno impalcature e palco per concerti.
Ma arrivandoci fuori stagione, in una giornata di sole con cielo terso, e con la primavera che sboccia timida ma dirompente tutt’intorno, la magia si ripeterà, a conferma che questo è uno dei luoghi più affascinanti della nostra sorprendente Italia.
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