Quando si deve rendere omaggio a un grande personaggio che ha influito sulla tua esistenza è quasi impossibile non partire dalla propria esperienza e non sarò certo io, in questo caso, a sottrarmi a questa regola non scritta.
Mi sono imbattuto in Folco Quilici a sette-otto anni, quando ho scoperto nella libreria di casa un libro dalla copertina rigida blu con un’intrigante disegno in oro che rappresentava uno squalo trafitto da un arpione. Oltre la copertina cominciava l’avventura con una carta nautica del Mar Rosso più che sufficiente per immaginare esotiche avventure per un bambino che stava scoprendo anche Salgari. Nelle pagine che seguivano ecco dipanarsi una storia affascinante, di mare e immersioni tra squali, mante e coralli. Dire che ne fui stregato è poco e a riprova di ciò posso dire che dopo poco tempo riuscivo ad elencare i nomi dei partecipanti della spedizione italiana in Mar Rosso molto meglio di quanto non mi riuscisse di ricordare la formazione dell’Inter di allora, la mia squadra del cuore dove dopo Sarti, Burgnich, Facchetti saltavo direttamente a Mazzola e Corso e la cosa finiva lì.
Non lo sapevo, ma cominciava allora a germogliare il seme della mia passione per il mare che mi ha portato anni dopo ad incontrare di persona Folco Quilici, un uomo che ha fatto del racconto di viaggio la sua professione e la sua dote migliore riuscendo a padroneggiare con la stessa efficacia le immagini, il testo scritto e la parola grazie a quella sua voce particolare, inconfondibile che si abbinava alla perfezione con quanto si vedeva e che riusciva a portare ancora più lontano delle immagini.
Uomo di cinema, aveva frequentato il Corso di Regia del Centro Sperimentale di Cinematografia dedicandosi subito alle riprese subacquee con un primo breve documentario dal titolo “Pinne ed arpioni”, introvabile, che gli avrebbe aperto le porte ai viaggi di esplorazione con il suo primo lungometraggio “Sesto continente” (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954) e ai racconti con il volume con lo stesso titolo con cui vincerà il Premio Marzotto.
Da allora Quilici non si è più fermato, spinto da una curiosità e da un desiderio di vedere e raccontare che sembrava inesauribile e che solo i limiti della natura umana sono state capaci di arrestare.
Raccontare Folco Quilici sarebbe abbastanza facile. In questi giorni basta digitare il suo nome per scoprire chi è stato e cosa ha fatto. Ma quello che manca ai più giovani è la possibilità di vederlo in azione e ascoltarlo. I suoi film più antichi come Sesto Continente o Ti-Koyo e il suo pescecane sono quasi introvabili e se per caso passano in televisione, come è successo, accade di notte e senza annunci. Si fanno repliche, ma non si trasmettono più le sue serie televisive dedicate al Mediterraneo, ai viaggi del capitano Cook per arrivare all’Africa, all’India e all’Islam, una serie questa che forse sarebbe utile rivedere per capire il mondo di oggi. Utile per capire chi siamo sarebbe anche la serie dedicata all’Italia vista dal cielo che, ristudiata, ci aiuterebbe a vedere cos’era e cos’è l’Italia di oggi.
In questo Quilici è stato un grande affabulatore di immagini e parole mai banali, sempre misurate e basate su una grande cultura e sensibilità e sulla sua capacità, che non è così scontata in tutti quelli che fanno il suo mestiere, di sapersi avvalere di esperti del calibro di Claude Braudel, Levi-Strauss, Sabatino Moscati o Renzo De Felice.
Oggi Quilici ci ha salutato per sempre. Non è vero. Infatti alla frase che precede manca un punto interrogativo. Quilici non ci ha salutato. Da un lato ci ha lasciato abbastanza materiale per non dimenticarlo e, soprattutto, per insegnare a non dimenticarlo e dall’altra è solo andato in avanscoperta per organizzare al meglio le sue prossime riprese. Ciao Folco. Ci vediamo.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com