Per quanto a noi oggi l’ornitorinco risulti una creatura piuttosto familiare, poco più di due secoli fa l’animale australiano era quasi sconosciuto e molti degli europei che ne avevano sentito la descrizione pensavano fosse uno scherzo o una leggenda. Il che è comprensibile: con l’avvento delle Wunderkammer e gli sviluppi della tassidermia si erano diffusi tanti animali impagliati fasulli.
Talvolta si trattava di semplici scherzi, in altri casi erano ricostruzioni di esseri mitologici: ad esempio, occorsero le conoscenze del grande Linneo per smascherare una presunta idra, conservata ad Amburgo, come la composizione fatta con più animali.
Risultava quindi difficile credere all’esistenza di un animale con pelo e sangue caldo come i mammiferi, dotato di un becco d’anatra, di una coda simile a quella di un castoro, per giunta velenoso e in grado di deporre le uova, stando alle testimonianze degli aborigeni.
Un becco d’anatra cucito sul collo di un altro animale?
C’era un altro grosso problema per gli scienziati interessati a sapere se questo animale esistesse realmente: era molto sfuggente, viveva rintanato in strette tane sulle sponde dei fiumi australiani ed era estremamente difficile da trasportare e far sopravvivere in cattività. I pochi esemplari visti in Europa nell’Ottocento erano tutti morti da tempo.
La prima di queste spoglie arrivò in Inghilterra nel 1798 per merito del capitano John Hunter, il governatore del Nuovo Galles del Sud. Un curatore del British Museum, George Kearsley Shaw, prese l’incarico di esaminare l’esemplare per stabilire la sua autenticità e descrivere la specie.
Nonostante il forte scetticismo che lo spinse a controllare se il becco non fosse stato cucito addosso al resto del corpo, Shaw identificò correttamente l’animale come mammifero, e lo chiamò inizialmente Platypus (“dai piedi piatti”), ignorando l’esistenza di insetti chiamati allo stesso modo.
In seguito all’animale venne assegnato il nome Ornithorhynchus (“dal becco d’uccello”), ma per il pubblico anglofono era ormai di uso comune il nome Platypus, tuttora utilizzato.
La questione delle uova
Nonostante l’accurata descrizione di Shaw i dubbi rimanevano, soprattutto per la mancanza in Europa di esemplari vivi. Trent’anni dopo gli studi del naturalista inglese, fu il tedesco Johann Meckel a cercare di confermare una volta per tutte che si trattasse di un animale realmente esistente e non di uno scherzo particolarmente elaborato.
I suoi dettagliati studi anatomici portarono a identificare un altro aspetto sconosciuto dell’animale: alcuni pori sulla pelle da cui “trasudava” il latte utilizzato per nutrire i piccoli, da buon mammifero. La mancanza di veri e propri capezzoli aveva fatto dubitare molti biologi della capacità dell’ornitorinco di nutrire i cuccioli col latte.
Poi nel dibattito entrò anche Richard Owen, uno dei più celebri e potenti scienziati d’Inghilterra. A questo punto, ossia a circa metà del XIX secolo, pochi scienziati dubitavano ancora della reale esistenza di questo animale; la controversia principale era se effettivamente l’ornitorinco, pur essendo un mammifero, deponesse le uova.
Owen dubitava di questa affermazione, anche se sostenuta con forza dagli aborigeni australiani. Si fece inviare numerosi esemplari, inclusi dei giovani e delle uova (alcune si rivelarono essere false, altre di serpente), ma non lo spinsero oltre la convinzione che queste si schiudessero all’interno della madre, che quindi partoriva piccoli vivi.
Finalmente l’ornitorinco entra nella cultura popolare
Infine, la questione si risolse nel 1884 per merito dello zoologo scozzese William Hay Caldwell che si recò in Australia col patrocinio della Royal Society, e con il chiaro intento di dimostrare che gli ornitorinchi deponessero uova.
Con l’aiuto di un gruppo di 150 aborigeni e mesi di pazienza trascorsi lungo le sponde del fiume Burnett in Queensland, alla fine ottenne la risposta definitiva, in un modo che oggi riterremmo inaccettabile ma che ai tempi era la prassi: Caldwell sparò a una femmina che aveva appena deposto un uovo, con un secondo uovo pronto a emergere dal suo corpo, uccidendola. Il mistero era finalmente risolto.
E così, dopo che per decenni l’elusivo animale aveva fatto dubitare della sua stessa esistenza gli scienziati più importanti della sua epoca, il piccolo ornitorinco divenne parte della cultura popolare, un animale insolito e fragile, prezioso e da conservare con cura.
Questa sensibilità, purtroppo, arrivò molti anni dopo: durante la Seconda guerra mondiale, ad esempio, Winston Churchill chiese che gli venisse portato un ornitorinco vivo direttamente dall’Australia.
Nonostante il talento di un curatore dello zoo di Melbourne, David Fleay, che per primo riuscì ad allevare l’animale in cattività, il piccolo ornitorinco Winston, così ribattezzato in onore del suo futuro proprietario, non sopravvisse alla traversata oceanica: le bombe dei sottomarini tedeschi, pur senza affondare la nave su cui viaggiava, lo uccisero per lo spavento.
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