1-2 al giorno, è questa la media di nuovi piccoli ospiti spinosi raggiunta negli ultimi mesi dal Centro Recupero Ricci “La Ninna” di Novello, in Piemonte, a cui sempre più persone fanno riferimento. Il centro, collegato al Cras di Cuneo, è la prima struttura ufficiale in Italia per la cura e la riabilitazione di queste creature ed è attivo da tre anni grazie alla passione, alla volontà e all’impegno del veterinario Massimo Vacchetta. «Il mio interesse per questi animali – racconta Vacchetta – nasce da un vero colpo di fulmine per una riccetta di pochi giorni che mi fu affidata da un collega. La sua tenerezza, il suo essere indifesa e al contempo caparbia e attaccata alla vita mi ha letteralmente stregato e decisi che non solo mi sarei occupato di lei, ma anche dei suoi simili.» E così dopo corsi su corsi con i più grandi esperti in materia e tanta fatica Massimo ha inaugurato il centro che ospita individui feriti, disabili e orfani.
Una volta curati e rimessi in forze, gli animali che possono essere liberati tornano in natura mentre i meno fortunati, quelli che dovranno convivere con una disabilità invalidante, resteranno al centro per tutta la vita. Una storia bellissima raccontata in un libro che tocca il cuore “25 grammi di Felicità” di Antonella Tomaselli che, dato il successo, è stata tradotto e pubblicato in diversi altri paesi, dalla Francia fino agli Stati Uniti. «Grazie a questa pubblicazione – dice Vacchetta – la sensibilità verso queste creature è cresciuta molto, soprattutto qui in Piemonte, e adesso ci chiamano da tutta Italia per segnalarci ritrovamenti di ricci feriti o in difficoltà e quando possibile ce li portano direttamente.»
Per capirlo basta vedere i numeri: nel 2016 il centro ha accolto e curato nell’arco dell’anno poco più di 100 ricci mentre nel 2017, solo nei primi due mesi i nuovi arrivi sono stati 120. Un aumento che è stato registrato anche in altri Cras meno specializzati su questa specie. Attualmente “La Ninna” (che è il nome del primo riccio curato da Massimo) ospita un’ottantina di pazienti tra cui due gemellini di pochi giorni ritrovati più morti che vivi, che vanno alimentati con una siringa ogni tot ore. «Siamo ormai arrivati al limite delle nostre forze – dice il veterinario – e anche se è bello sapere di essere diventati un punto di riferimento importante sul territorio abbiamo bisogno di aiuto, sia dal punto di vista pratico, con nuovi volontari che abbiano voglia di dedicare impegno, costanza e tempo ai ricci ricoverati, sia economico, per acquistare piccole incubatrici, cibo e altro materiale e per ripristinare i recinti esterni dove i ricci vengono lasciati “in prova” prima della liberazione definitiva. Voglio ricordare – conclude – che i ricci sono una specie selvatica e non possono e non devono essere tenuti in casa da privati che, tra l’altro, come spesso capita, non sanno assisterli nel modo adeguato. Recentemente, per esempio c’è stato portato un animale, battezzato Ivo, che pesava solo 30 grammi a 15 giorni di vita perché nutrito col latte sbagliato. Dopo tre settimane qua al centro è arrivato a 150!» Niente “fai da te”, dunque, ma in caso di ritrovamento di un riccio in pericolo di vita contattate un centro specializzato sulla fauna selvatica. Al limite, come suggerisce Massimo Vacchetta, in questi mesi di siccità prolungata è possibile lasciare in giardino ciotoline e sottovasi pieni d’acqua per alleviare la sete, sia dei ricci, che di altri animali debilitati dal calore.
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