Finalmente anche l’Islanda ha mollato: dal 2024 cessa definitivamente la caccia alle balene, un’attività tradizionale che negli ultimi anni strideva fortemente con i valori di civiltà di un piccolo Paese, per molti aspetti assai evoluto a livello sociale.
Una scelta storica, ratificata pochi giorni fa dal governo islandese nella persona della ministra della pesca Svandís Svavarsdóttir (partito dei Verdi), che pone così fine a una pratica cruenta e molto contestata (soprattutto all’esterno) e che negli ultimi dieci anni ha visto l’abbattimento legale di almeno 4500 grandi cetacei da parte della piccola, ma superspecializzata flotta islandese.
Che peraltro ogni anno si deve spostare sempre più lontano dalle sue coste, dove la fascia di interdizione alla pesca è sempre più estesa, per cercare di raggiungere le quote massime di caccia consentite, i cui ultimi valori prevedevano 219 balenottere e 217 balenottere minori.
Si tratta peraltro di una scelta politica più legata a fattori economici che non a principi etici. Infatti, già da quando nel 2006 Reykjavik decise di interrompere la moratoria internazionale in vigore dal 1986, anno dopo anno divenne evidente che non si trattava più di un’attività sufficientemente redditizia per l’Islanda, che ha un’economia altamente diversificata e dove invece pesa sempre di più il turismo legato proprio all’osservazione della natura. In particolare il giro di visitatori legati al whales watching, ovvero quelli che giungono nel paese per osservare e fotografare i grandi cetacei, sta generando un giro di affari che supera ormai i 10 milioni l’anno.
In più da qualche anno vi è stato un crollo nella vendita e nei consumi di carne di balena: secondo un recente sondaggio, solo il 3% della popolazione islandese consumava regolarmente questo tipo di alimento, e anche dall’estero c’era ormai poca richiesta. Vendite che hanno subito ulteriori diminuzioni con la pandemia.
Rimangono quindi tenacemente attaccati ancora a questo tipo di caccia solamente la Norvegia e il Giappone, che alimentano quel che resta del mercato mondiale, mentre in Alaska e in alcune regioni della Danimarca, prosegue la caccia alle balene ma le loro carni sono esclusivamente destinate al consumo interno. Tuttavia anche in questi Paesi il mercato sembra ormai sempre più fiacco e in declino: nel Paese del Sol Levante, ad esempio, quasi il 90% degli abitanti ha ammesso di non averla acquistata nell’ultimo anno, con i più anziani a essere rimasti gli ultimi “estimatori” di carne di balena.
La speranza è che l’esempio dell’Islanda convinca anche queste ultime nazioni ad abbandonare una volta per tutte questa forma di caccia ormai anacronistica e senza più alcun significato.
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