Negli anni adulti, quando si avverte l’avvicinarsi della vecchiaia, tutto si fa un po’ più interiore. È come se ciò che abbiamo raggiunto col nostro incedere frenetico, col nostro viaggiare in modo sconsiderato si arrestasse dentro noi stessi e ci domandasse: e adesso? Adesso di ricomincia daccapo.
È proprio a quel punto che possiamo, dobbiamo riprendere a camminare. Sarà, però, un modo di camminare diverso. Non più, o perlomeno non necessariamente associato a una smagliante corporeità, a una vigorosa fisicità. Impareremo a camminare all’insegna di una percezione interiore. Non verrà meno l’esperienza del cammino come fatica, ma ad essa sapremo associare in forma più viva la nostra condizione itinerante.
A quel punto camminare vorrà dire soprattutto guardarsi intorno, deviare dal sentiero, chiedersi il nome di un fiore, odorare ciò che incontriamo, raccogliere un sasso che pure è uguale a tutti gli altri, avere un rapporto con ogni cosa che il tragitto ci propone. Fermarci quando ci pare. Procedere a piedi, col bel tempo, col cattivo tempo. Senza meta.
Potrebbero interessarti anche:
Il popolo mite che non può camminare
In cammino verso la dimora del nulla
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com