«Come spiegare, a chi non l’ha vissuto, che il Cammino ha l’effetto, se non la virtù, di far dimenticare le ragioni che ha indotto a percorrerlo? Alla confusione e alla moltitudine dei pensieri che hanno spinto a mettersi in cammino, esso sostituisce la semplice ovvietà del camminare.» (Il Cammino Immortale, Jean Christophe Rufin).
Una delle domande che più si spesso si pongono a chi ha percorso il Cammino di Santiago è “Perché?” E le risposte – come immaginerete – sono tutte piuttosto evasive.
Il Cammino è come un’onda che vi investe, cosa sarete dopo essere riemersi dalle acque dipende da ognuno dei reduci camminanti.
Il Cammino non cambia nessuno. Il Cammino non migliora. Il Cammino illumina. Pulisce. Il Cammino é una spugna che pulisce. Permettetemi delle metafore visive e degli esempi. Se avete portato con voi una coppa di cristallo, alla fine del pellegrinaggio avrete sicuramente un bicchiere trasparente. Se avete fatto il viaggio con un vaso da notte sbrecciato, dopo l’ultimo passo, non vi ritroverete in mano una pentola d’oro. Il Cammino vi fornisce esclusivamente una nuova prospettiva (anche più d’una). Un diverso punto di vista sulla vostra vita. Il Cammino è simile alle panche che si trovano nei musei davanti ai quadri e alle bellezze in esposizione. Se la vostra vita è una piccola opera d’arte, potrete metterne a fuoco tutti i dettagli. Ma se siete davanti a una crosta, giunti a Santiago, non guarderete miracolosamente un Picasso. In Cammino ogni volto è l’espressione di ciò che era a casa propria (ognuno nel proprio contesto) ma -come cristallizzati in un’immagine strutturata- i chiaroscuri del carattere vengono esaltati, sollecitati, spinti in alto e in basso, come la “mochila” (zaino in spagnolo) che ogni pellegrino porta sulle spalle. E così – a passo lento – ognuno diventa una caricatura di se stesso: c’è chi sta bene solo, chi desidera il mare, chi corre, chi va più piano, chi preferisce appartarsi, chi andare in compagnia, chi cammina con gli occhi rivolti al Cielo, chi a testa bassa, chi decide, chi segue, chi mangia pane e companatico, altri che si nutrono delle “briciole”, chi ha voglia di conoscere e chi vive in disparte, chi ruba sorrisi e chi anime. Dei mediocri sarà messa in luce la mediocrità, dei grandi la grandezza, dei piccoli la meschinità, degli affamati la fame d’amore e di pace, dei belli dentro la generosità verso il mondo.
Il Cammino di Santiago vi da luce. Il segreto è conservare quella forza e quella luce dentro, una volta a casa. Ogni cosa è illuminata dalla luce del passato (citando Jonathan Safran Foer). Una volta ritornati nei propri contesti familiari, l’ambizione più grande sarebbe mettere a frutto tutti i messaggi ricevuti “andando” (espressione spagnola per dire “quel che viene, viene”): sorrisi sinceri, silenzi fragorosi, sguardi deliziosi, pic-nic dell’anima e merende a base di pomodori raccolti nei campi, vasos (bicchieri in spagnolo) di vino e sorsi di acqua fredda e zumo de naranja (spremuta di arancia). Non dimenticherò mai il calore delle mani che ho stretto, l’intensitá degli occhi in cui mi sono tuffato e talvolta nascosto, le parole sussurrate, i pensieri gridati, le confidenze e i segreti svelati, le sensazioni uniche, che credevo ormai sopite dentro me, risvegliate passo dopo passo insieme con gli altri vagabondi improvvisati. Si é pellegrini dentro. E poi per toda la vida. In cerca di qualcosa che abbiamo perso per Strada. Santiago lo si trova solo se si porta con sé dall’inizio, basta abbandonare se stessi a poco a poco. Durante i giorni di peregrinazione ho sempre pulito bene il mio “carburatore” affidandolo a un Meccanico di tutto rispetto (che lo si chiami Dio, Natura, Buddha o Creato). Uno che in fatto di “messa” a punto ne capisce eccome. Ho pregato, ho riso, ho pianto. A poco a poco l’amore per la vita e la Natura fragorosa del Cammino mi hanno conquistato. Tornare con la consapevolezza di dover lavorare molto dentro di sé e di continuare a sognare è una prerogativa inevitabile per chi non ha opposto resistenza all’energia trasmessa da quella Strada. Un’energia assorbita passo dopo passo grazie alle innumerevoli preghiere, aspettative, ai sogni, alle delusioni, alle morti e agli innamoramenti dei pellegrini che hanno battuto quel tragitto. Montagne difficili da valicare, pioggerella incessante, sole impetuoso, talvolta la fame e spesso la sete, le tante vesciche dei piedi (inesorabili compagne di viaggio), forgiano i pellegrini che vivono questa esperienza meravigliosa. Personalmente ho sempre adorato i tramonti, ma dopo il Cammino francese del 2015, ho dedicato tutti i miei desideri all’alba.
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