Ci sono vite che a un certo punto del viaggio cambiano strada. È quello che accade a Beppe Scotti, self made man e brillante imprenditore del food, che racconta la sua esperienza nel libro “Il cercatore” edito da Ultra Sport.
È la storia di una rinascita interiore alla ricerca dei propri limiti, della forza interiore, dell’equilibrio. Ne pubblichiamo qualche estratto a beneficio dei nostri lettori.
La Marathon des Sables
Il cielo oggi è terso, ma spira un vento freddo. Finalmente ci danno il via. Siamo ottocentottanta atleti impazienti di affrontare le prime dune. I piedi affondano, tracciano orme che saranno cancellate dalla prossima sferzata. Il deserto è spiazzante: le curve delle dune si ripetono in forme regolari, sembrano disegnate ad arte, eppure sono effimere tracce di vento. Nella monotonia ritmica delle linee, anche l’orizzonte sembra rimbalzare oltre il suo punto abituale, lasciando sotto al cielo una vastità di spazio e di tempo. Il vuoto e il silenzio sono una perfetta cassa di risonanza per i pensieri e le percezioni, libere di vagare, inseguirsi, perdersi.
Salire e scendere sulle dune è esaltante, e dopo qualche chilometro ci troviamo in una piana sassosa. Arrivo al primo check-point e ritiro la mia razione d’acqua. La gara si svolge in autosufficienza alimentare, ma ogni atleta ha a disposizione nove litri di acqua al giorno, che viene suddivisa e distribuita a ogni punto di ristoro.
Attraverso una città abbandonata, un agglomerato di terra e fango costruito con tecniche edilizie vecchie di millenni, e arrivo al secondo check-point, dove rabbocco la borraccia. Salgo sull’ultima duna e mi si spalanca davanti una pianura in cui si scorge il bivacco, molto più grande di come l’avevo immaginato. Ci saranno più di cento tende, circondate da una spettacolare corona di montagne.
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Siamo una lunga colonna di atleti nel deserto, sembra di stare in Beau geste, un film che vidi da bambino. Mi appare Gary Cooper vestito da soldato della Legione Straniera che marcia in fila indiana nel deserto. Nel film i valorosi soldati soccombono sotto l’assedio dei beduini.
Attorno a noi si levano mulinelli di sabbia sahariana. Formazioni rocciose esuberanti si stagliano tra gli atleti e la corona di montagne che delimita l’orizzonte. I chilometri sulla pietraia non finiscono mai, sono un fondo insidioso su cui correre, devi fare attenzione a come appoggi i piedi. Finalmente arrivo al check-point numero quattro, che segna il cinquantesimo chilometro della tappa. Lo stomaco comincia a dare i primi segnali di sofferenza, sento un malessere generale e ho conati di vomito. I gel che ho ingerito, poi, con la loro stucchevole dolcezza, aumentano il senso di nausea.
Riprendo a correre, e dopo pochi chilometri il percorso prevede il passaggio di una montagna. Il valico è su massi lisci e scivolosi di un torrente secco. Raggiunta l’altra sommità del versante godo di vista stupenda, con tutta la valle circondata dalle montagne alle mie spalle e le dune di sabbia davanti. Il sole è basso e scende rapidamente dietro alle dune, lasciandoci soli sotto alla stellata desertica. Decido di spegnere la luce frontale, voglio godermi questo momento. Sto correndo nella notte tra le creste mutevoli delle dune, e provo un senso di libertà assoluta. È questo che vado cercando, il momento in cui mi sento una cosa unica con il mondo, il ricongiungimento ancestrale. Le lucine degli atleti, posizionate sul dorso dei loro zaini, si intravedono in alto alle dune. Ognuno porta il fardello di un motivo che l’ha spinto a intraprendere questa esperienza. Sembrano una processione pagana dove l’espiazione è data dalla fatica, dalla stanchezza che si trasforma in sofferenza. […]
Scotti, E. Racchetti, Il Cercatore. La mia storia di crescita attraverso lo sport nella natura selvaggia
Ultra Sport, 2021, pp. 75-77