Dici agricoltura, dici cibo e pensi di avere descritto mondi omogenei. Non è così. Dietro queste espressioni c’è uno spettro di possibilità infinite, spesso radicalmente opposte. C’è una forma di agricoltura che crea omologazione del paesaggio, sfruttamento del lavoro e impoverimento della terra, usa pesticidi, spreca acqua e inquina le falde; e c’è un’agricoltura che significa prodotti biologici, presidio e valorizzazione del territorio, mercati contadini.
Uno dei tavoli di lavoro per la preparazione della Carta di Milano, il documento di impegni rivolto a cittadini, istituzioni, imprese e associazioni che costituirà l’eredità di Expo 2015, s’intitolava “Quota 50 miliardi: l’export dell’agroalimentare italiano”. Ezio Castiglione, Presidente dell’Ismea – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare e coordinatore del tavolo stesso, ha dichiarato: “Il nostro paese deve tornare a occupare una posizione di primo piano nell’ambito agroalimentare, perché grazie alla sue tradizioni agricole, alimentari e gastronomiche fondate sulla Dieta Mediterranea, l’Italia può diventare una grande promotrice a livello internazionale di uno stile di vita sano”.
Uno stile di vita sano dovrebbe essere attento a tutte le conseguenze delle proprie azioni. In campo nutrizionale, per esempio, dovrebbe privilegiare cibi sani e genuini, ma non solo: un’attenzione particolare andrebbe posta anche sulla loro provenienza, preferendo prodotti che hanno viaggiato poco prima di giungere sulle nostre tavole.
“Per sostenere l’export agroalimentare – ha spiegato sempre Castiglione – è necessario potenziare la logistica”. In altre parole servono nuovi capannoni industriali per lo stoccaggio, ma anche infrastrutture più veloci e rapide. Tutto questo si traduce in giganteschi magazzini, celle frigorifere dove i prodotti stazionano più o meno a lungo e trasporti sempre più frenetici.
Sorgono spontanee alcune domande: che senso ha trasportare il pecorino di Maglie in Nuova Zelanda o la patata rossa di Colfiorito in Brasile? O, ancora, l’acqua S. Pellegrino, che sgorga dalle fonti brembane, negli Stati Uniti?
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, ha dichiarato senza mezzi termini: “Il prodotto fresco non deve viaggiare”. Il Barolo sì, quello si può esportare. Ma la farina, i pomodori, l’acqua e il latte si possono comprare direttamente dai contadini locali.
Insomma, il dilemma è: esportare il Belpaese o concorrere all’abbattimento della produzione di CO2 grazie al contenimento dei trasporti?
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