«Sin da bambina progettavo di avere un giardino tutto mio. Ho sempre amato i fiori. Sai, mio marito possedeva un negozio di fiori in centro a Milano; proprio lì ci siamo conosciuti», mi disse la signora Marisa, la nostra nuova vicina di casa.
Era una donna giovale, sui sessantacinque anni, dalla voce baritonale e avvolta in abiti bon-ton impeccabili. Si erano trasferiti da un mesetto nel nostro quartiere e lei insieme al marito erano venuti a farci visita. Mia madre aveva fatto servire il caffè con i biscotti secchi in veranda, come da sua rodata consuetudine.
Quel giorno ero di visita dai miei genitori e mia madre mi chiese di restare per il caffè con i neo vicini di casa. Mi bastò una mezz’ora per capire che in realtà la signora Marisa ignorava tutto dei fiori.
Non sapeva nulla di semi e talee, né aveva idea di come si pianta un’aiuola, o della differenza tra piante annuali o perenni. Aveva soltanto in mente un’immagine, l’immagine del giardino di una villa, dove spiccavano sgargianti colori d’innumerevoli fiori dal dolce profumo.
Il marito della signora Marisa, al contrario, era un uomo tranquillamente metodico e piuttosto taciturno. Aveva iniziato da giovane, come aiuto-giardiniere in una ricca famiglia, per poi aprire un negozio di fiori tutto suo. Grazie alla sua gestione ambiziosa, aveva prosperato a tal punto da comprare una villa con ampio parco vicino a casa nostra.
Una volta saputo che ero medico veterinario, uscì dal suo letargo di silenzi e iniziò a raccontarmi della sua rinnovata passione per l’avicoltura. L’uomo, per quanto ora benestante, manteneva indenne il suo animo bucolico.
La signora Marisa, visibilmente sorpresa dalle chiacchiere del marito, interruppe il discorso con una domanda secca: «Dottore, ma se mio marito mette il veleno per i topi e se lo mangiano i polli, le uova si possono mangiare?»
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