Quante volte in hotel siete ricorsi al cartello Do not disturb in cerca di un po’ di privacy?
Anche gli animali vorrebbero farlo, ma non possono!
Il boom del turismo verde, le numerose attività ricreative e il crescente desiderio della gente di vivere esperienze al di fuori dei tradizionali circuiti turistici, sta sicuramente alimentando la consapevolezza del ruolo primario della natura. Tuttavia, in questo quadro quasi idilliaco, qualcosa scricchiola e arrivano i primi moniti dai ricercatori. Emerge, infatti, un disturbo sulla fauna con danni superiori a quanto fosse lecito attendersi.
La scienza sta raccogliendo le prove di questi effetti.
Senza demonizzare le nostre azioni, dobbiamo comprendere che una passeggiata con il nostro fedele amico a quattro zampe, un tonificante giro in mountain-bike, gli esercizi “rilassanti” di volo con il drone o la nostra voglia di emulare i documentaristi, imbracciando reflex e tele-obiettivo, possono alterare gli equilibri naturali.
L’esempio inglese
In Inghilterra, patria del birdwatching, nelle brughiere del Dorset e del Nottinghamshire sono state fatte una serie di indagini sul succiacapre (Caprimulgus europaeus). Questo uccello, che si riproduce direttamente sul terreno, si è mostrato vulnerabile verso le disinvolte sgroppate dei cani che, se lasciati nei pressi di siti di nidificazione, possono alterare il successo riproduttivo.
Gli ornitologi d’Oltremanica hanno dimostrato statisticamente che le aree con maggior disturbo umano (e canino) producono effetti negativi sull’involo dei nidiacei, che subiscono più predazioni da parte dei Corvidi; nel Nottinghamshire i succiacapre si mostrano inclini persino a rinunciare alla nidificazione.
Più vicino a noi, sulle nostre Alpi, recenti studi condotti dal Muse di Trento hanno mostrato la fragilità degli ecosistemi alpini. La ricerca, con una proiezione temporale al 2050, ha indagato le ripercussioni su alcuni uccelli montani – come il sordone (Prunella collaris) e il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) – generate dai cambiamenti climatici, aggravati da varie attività umane tra cui lo sfruttamento delle foreste, l’abbandono dei pascoli e la presenza di attività ricreativa.
Una convivenza possibile
La scienza dimostra, però, che gli uccelli possono anche adattarsi all’uomo o almeno tollerarlo. Negli Stati Uniti un’indagine sulla civetta delle tane (Athene cunicularia) ha generato sorprendenti risultati.
Questo predatore capace di riprodursi in aree rurali e desertiche – ma anche nelle periferie di grandi metropoli come Los Angeles, Dallas e Houston – ha manifestato comportamenti differenti a seconda del suo inurbamento.
Gli ornitologi americani hanno scoperto che quando qualcuno si avvicina al nido-tunnel di questa piccola predatrice la distanza di messa in fuga cambia molto tra le civette di campagna e quelle urbane. La fiducia delle prime è molto bassa e la fuga più pronta, mentre le seconde sono più tolleranti. Questo influisce anche sul ritorno al nido: in campagna, dopo esser stata spaventata, la civetta delle tane impiega più minuti a rientrare nel sito riproduttivo, esponendo la nidiata alla predazione.
La paura verso il genere umano è innata e la presenza antropica provoca effetti sulle comunità faunistiche. Nessuno ci vieta di passeggiare con il nostro fido amico a quattro zampe o in mountain-bike lungo un sentiero, ma alcune norme disciplinari, che i parchi già invitano a seguire, sono da rispettare. Nondimeno l’augurio è che sempre più i naturalisti dedichino attenzione agli effetti del disturbo umano, per consentirci in futuro una fruizione naturalistica sempre più ecosostenibile.
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