di Emma Tomatis
Il turista responsabile dovrebbe sempre tenersi a distanza da dubbi santuari sedicenti “etici” e osservare gli animali liberi nel loro habitat senza alcuna interazione, oppure considerare un’esperienza di volontariato in centri di recupero e riabilitazione in cui si ha la possibilità di lavorare con animali vittime di abusi e sofferenze di diversa natura.
L’elefante asiatico è uno dei simboli della Thailandia. Nonostante sia considerato un animale sacro, la sua è una storia di sfruttamento che dura da millenni: prima come animale da guerra, poi come animale da fatica impiegato nei trasporti, nelle costruzioni, nel disboscamento intensivo e, infine, come oggetto di intrattenimento turistico. Ignari delle crudeltà inflitte per addestrarli, i turisti di tutto il mondo contribuiscono involontariamente a tenere viva questa triste realtà che alimenta, tra l’altro, il traffico illegale.
La straziante pratica di addestramento
Spesso prelevati in natura in tenera età, gli elefanti sono strappati con forza dalle madri con cui dovrebbero condividere almeno dieci anni di vita. Sottoposti al brutale processo del “Phajaan”, che letteralmente significa “rompere lo spirito selvaggio dell’animale”, vengono tenuti in cattività legati a corde o a catene, stipati in box di legno e sottoposti a crudeli maltrattamenti con i bullhook, bastoni uncinati che vanno a colpire zone sensibili dell’animale quali, ad esempio, le orecchie o gli occhi, rendendoli parzialmente ciechi e quindi più facili da addomesticare. Come denunciato qualche anno fa dall’associazione World Animal Protection.
Maltrattamenti e sofferenze degli elefanti: i segnali da non ignorare
Questi animali sono considerati una fonte di guadagno, e per questo vengono sfruttati dall’industria turistica in spettacoli, negli “elephant rides”, le escursioni sulla loro groppa, oppure in santuari definiti “etici” dove i turisti hanno la possibilità di interagire dandogli da mangiare o addirittura di fare un bagno con loro. Queste ultime realtà, con furbizia, attraggono i turisti più responsabili con l’illusione di fornire una valida alternativa alle torture e al maltrattamento che subiscono gli elefanti utilizzati per il trasporto di persone.
Entrambe le pratiche sopracitate sono dannose per questi animali e comportano numerosi traumi, elencati di seguito.
- In primo luogo sono da citare i danni alla schiena: gli elefanti, per natura, dovrebbero avere un dorso arrotondato, ma il peso che devono sostenere durante tutto il giorno a causa delle cavalcate con i turisti, può causare un cambiamento della conformazione fisica rendendo la schiena concava.
- Un altro aspetto preoccupante è rappresentato dai tagli sulle orecchie, derivanti dall’uso frequente del bullhook, strumento utilizzato dagli umani per punire e comandare l’animale.
- Un ulteriore elemento è la depigmentazione cutanea, indicata da un colore più arancione della pelle. Gli elefanti in natura utilizzano sabbia, fango e riposano spesso all’ombra o in acqua per regolare la loro temperatura corporea e proteggersi dal sole. Se trascorrono troppe ore in strutture che non offrono possibilità di riposo, non riescono a prendersi cura della loro pelle, che ne risente notevolmente.
- Inoltre, se le zampe sembrano riportare infezioni, è un campanello d’allarme che di solito rimanda al fatto che questi animali quando non sono richiamati a lavorare, hanno le zampe legate da catene molto corte, circoscritti in spazi ristretti dove si sedimentano sporcizia ed escrementi, che a lungo andare provocano malattie.
- Infine, se l’infezione è presente anche negli occhi, e non si notano le lunghe ciglia essenziali per proteggersi da polvere e altri elementi, è perché queste ultime sono state tagliate o strappate dall’animale con modalità spesso violente. La cultura asiatica crede infatti, che il pelo degli elefanti sia un simbolo di portafortuna e spesso viene usato per la creazione di gioielli, venduti per pochi soldi nei mercati locali.
Un appello al cambiamento
Per non correre il rischio di incappare in situazioni spiacevoli e alimentare questo ciclo di abusi, è essenziale informarsi accuratamente e considerare di recarsi in centri di recupero oppure in riserve naturali protette che consentano di ammirare questi magnifici pachidermi rigorosamente a distanza, liberi in natura. Un approccio consapevole è fondamentale per promuovere un cambiamento che miri alla conservazione di questa splendida specie.
Questi giganti saggi sono il segno dell’armonia degli habitat e proteggerli significa salvaguardare la ricchezza naturale che noi tutti condividiamo.
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