Sono ormai centinaia gli studi che sottolineano il pericolo, nei confronti dei sistemi biologici (e quindi anche del corpo umano), delle onde elettromagnetiche intensive di origine artificiale. Una massa di dati che però ancora non ha convito come prova “definitiva” i governi e gli enti preposti, ma che almeno dovrebbe essere sufficiente per far rispettare il sacrosanto Principio di Precauzione e fare in modo che si attivino tutte le soluzioni possibili per contenere e mitigare l’inquinamento pervadente di radio frequenze e microonde pulsate non ionizzanti che ormai ci assediano ovunque, da luoghi pubblici anche delicati come scuole ed ospedali alle abitazioni private, con gli onnipresenti wi-fi. Un parte sempre più estesa della letteratura medico-scientifica nazionale e internazionale dimostra infatti come queste frequenze comportino una grave tossicità che stimola la produzione di radicali liberi, interferendo con i geni responsabili della vitalità cellulare e con il corretto funzionamento di diversi organi, come il sistema nervoso centrale e quello riproduttivo.
Non conosciamo nei dettagli tutta questa letteratura, per cui non siamo in grado di dirvi se esistono lavori dove viene dimostrata, oltre ogni ragionevole dubbio, la relazione diretta tra elettrosmog e tumori e mutazioni genetiche, ma quelli che abbiamo letto ci sono ampiamente bastati per cercare di proteggerci da questa subdola forma di inquinamento. Che non si vede, che è spinta dalla tecnologia di punta di moda oggi (telefonia mobile, internet, ecc.) e che quindi dalla maggioranza delle persone è ampiamente ignorata e sottovalutata. Dormire con il telefonino sotto carica sul comodino (e quindi a pochi decimetri dalla testa) è un’abitudine molto diffusa, soprattutto tra i più giovani.
E allora, se si vuole continuare a credere alla non pericolosità di questi sistemi, colpisce ancora di più una disposizione silenziata e misconosciuta, attesa però da tempo dal fronte precauzionista allarmato dai pericolosi effetti non termici dell’elettrosmog. È contenuta nel decreto del 28 gennaio 2017 firmato dal ministro dell’Ambiente Galletti per il Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione (“Criteri Ambientali Minimi per l’ L’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici e per la gestione dei cantieri della pubblica amministrazione”). Una norma praticamente sfuggita a tutti: al punto 2, nella parte dedicata appunto all’inquinamento elettromagnetico indoor (2.3.5.4.) si recita infatti: “Al fine di ridurre il più possibile l’esposizione indoor a campi magnetici ad alta frequenza (RF) dotare i locali di sistemi di trasferimento dati alternativi al wi-fi, es. la connessione via cavo o la tecnologia Powerline Comunication (PLC).”
In pratica si tratta di sostituire gli ubiquitari hot spot e router wireless con la connessione via cavo. Una serie di interventi per i quali il Ministero ha previsto anche adeguati finanziamenti, ma che ad oggi sono stati pochissimo utilizzati.
Allora se l’elettrosmog è così inoffensivo perché è stata introdotta, addirittura dal Ministero competente, tale norma? Che poi è proprio quello che da anni si chiede (ad esempio) per gli ospedali o che rivendicano i numerosi comitati di genitori e di insegnanti impegnati nella lotta per la riduzione delle irradiazioni sugli alunni tra i banchi di scuola (dove invece si diffondono sempre più, come segno di modernità. Le lavagne elettroniche LIM).
Perché quindi la maggior parte dei Dirigenti scolastici, dei Direttori sanitari di ospedali ed ospizi e in generale i pubblici amministratori continuano ignorare questi aspetti?
Eppure, riportando un appello per la difesa della salute pubblica sottoscritto tempo fa da una nutrita task force di medici, biologi, fisici, ricercatori e ingegneri, “un eventuale ritardo nell’assumere provvedimenti cautelativi in materia di campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde non può essere in alcun modo paragonabile a ritardi già verificatisi in passato su questioni ambientali, come nel caso dell’amianto, del mercurio o del piombo, in quanto l’esposizione a radiofrequenza è diventata in pochi anni praticamente ubiquitaria e, quindi, il numero dei soggetti esposti è notevolmente alto e l’impatto della radiofrequenza e delle microonde sulla salute rischia di comportare da qui a dieci anni costi socio-sanitari e umani incalcolabili”.
Ma adesso, con il decreto Galletti, non ci sono più scuse. Lo si applichi per smantellare il Wi-Fi, costringere le compagne telefoniche a proporre sistemi meno pericolosi e mettere la sicurezza e precauzione al primo posto, prima di tutto.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com