Le recenti elezioni federali in Australia hanno visto al centro delle promesse politiche dei due principali partiti importanti azioni per la lotta ai cambiamenti climatici
Tony Abbott e il suo governo avevano reintrodotto come promesso la tassa sulle emissioni (carbon tax). Purtroppo, questa è stata poi profondamente modificata a seguito delle proteste di una porzione del senato, scontenta delle riforme introdotte da Julia Gillard. A partire dal settembre 2013, numerosi fondi e enti per il clima australiani hanno subito enormi tagli da parte del governo che pare si sia impegnato a favorire le emissioni più che ridurle.
In previsione delle scorse elezioni del 2 di luglio 2016, entrambi i partiti – sia quello liberale che quello dei lavoratori – hanno proposto diversi piani politici che dovrebbero portare al raggiungimento dei target domestici e internazionali. È bene ricordare che l’Australia si è impegnata a ridurre le sue emissioni del 26% rispetto ai valori del 2005 entro il 2050, uno tra i target più bassi delle nazioni sviluppate.
Il partito dei lavoratori ha proposto di stabilire due schemi di scambio delle emissioni (carbon trading system) che dovrebbero portare al raggiungimento del 50% di energia domestica ricavata da rinnovabili entro il 2030.
Al contrario il partito liberale, che al momento è al potere con il rappresentante Malcolm Turnbull, sostiene fortemente l’innovazione tecnologica ma manca di un piano d’azione preciso.
In attesa dei risultati definitivi – che dovrebbero arrivare a ore – non sappiamo ancora quali saranno con certezza le politiche messe in atto dal vincitore, ma si spera in un governo più impegnato nella protezione ambientale e decisamente più serio in tema del cambiamento climatico. Risulta fondamentale, infatti, che l’Australia si impegni a ridurre drasticamente le emissioni che avvengono al di fuori dei loro confini. Infatti, essendo i primi esportatori di carbone per Cina e India, le emissioni indirette a livello internazionale risultano molto alte per il continente.
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