Nelle scorse settimane un mio articolo intitolato “Lasciate i call center e vivete felici” ha suscitato qualche disappunto. Era prevedibile. In Italia è difficile affrontare il tema del lavoro, soprattutto se si tenta di uscire dalla retorica dei diritti e dei salari, che il più delle volte viene ammantata anche da un po’ di nazionalismo.
Nel pezzo in questione ho adoperato l’espressione generica “call center”, ma fin dalle prime righe ho chiarito che avrei parlato di vendite al telefono, non di servizi di assistenza. È evidente la differenza fra chi chiama per vendere qualcosa e chi viene chiamato quando si ha bisogno di ricevere informazioni o un aiuto per risolvere un problema. È altrettanto evidente che quando si ha davvero bisogno di lavorare non si guarda tanto per il sottile. Conosco bene la situazione, credetemi.
La questione che mi premeva e ancora mi preme affrontare, però, è un’altra ancora. Tempo fa intervistai il titolare di un’azienda agricola che possiede numerose vacche da latte. Gli addetti alla mungitura nella sua impresa sono tutti stranieri. Ho supposto che un giovane italiano sia scoraggiato dall’idea di alzarsi al mattino molto presto e doversi sporcare le mani. L’allevatore, invece, mi ha suggerito un’altra motivazione: il sabato sera è difficile spiegare ai potenziali amici che mungi mucche. Meglio dire che lavori in un call center.
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