Sono tornate a casa le tre baleniere giapponesi partite lo scorso novembre alla volta dell’Oceano Antartico. Per le tre navi – tra cui l’ammiraglia Nisshim Maru – il bottino di caccia questa volta è stato di 333 balenottere minori (Balaenoptera acutorostrata) a riprova del fatto che, nonostante le pressioni della comunità internazionale, il Giappone non ha alcuna intenzione di interrompere la caccia ai cetacei.
Scopi scientifici o tradizione?
Come ogni anno, la flotta del Sol Levante ha giustificato le battute di caccia con scopi pseudoscientifici: la mattanza delle balene servirebbe per comprendere meglio il loro comportamento e per studiare a fondo gli aspetti biologici dei cetacei, hanno fatto sapere le istituzioni giapponesi.
Tuttavia, secondo alcuni la tesi più accreditata sarebbe che il Giappone effettua le battute di caccia per soddisfare l’incessante richiesta di carne di balena.
Sea Shepherd alza bandiera bianca
Il Ministero della Pesca nipponico ha fatto sapere che le navi non hanno dovuto fronteggiare alcuna imbarcazione di attivisti, come spesso capitato in passato durante le battute di caccia nell’Oceano Antartico.
Lo scorso anno, infatti, l’associazione ambientalista Sea Shepherd aveva annunciato la propria intenzione a interrompere le attività di contrasto alla caccia alle balene. Secondo gli ecopirati del capitano Paul Watson, infatti, le tecnologie messe in campo dal Giappone durante le battute di caccia hanno creato negli anni un gap insuperabile, rendendo vana ogni azione.
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