A pochi anni dalla sua morte, Giorgio Celli rimane ancora oggi uno dei volti più conosciuti e apprezzati della divulgazione scientifica in Italia. Il perché è semplice da capire: per alcune decadi il professor Celli ha saputo raccontare con garbo e ironia il mondo animale senza mai scadere nella banalizzazione o nell’eccessiva spettacolarizzazione. Il suo programma televisivo “Nel regno degli animali” ha rappresentato appieno queste sue caratteristiche. Amante di tutti gli esseri viventi, non ha mai negato però una certa predilezione per i gatti, nei quali si identificava molto per il carattere sornione, spesso ironizzando sulla sua somiglianza anche fisica con loro. I suoi tanti libri, scritti con rigore scientifico ma anche in un italiano forbito ed elegante, tradivano l’altra sua grande passione, la letteratura. Per anni infatti Celli ha fatto procedere di pari passo due carriere, quella del brillante scienziato e quella dello scrittore di prosa e teatro, non disdegnando anche qualche excursus come attore cinematografico. È stato un attivo ambientalista e per anni si è anche impegnato in campo politico. Nondimeno è stato uno dei più ferventi sostenitori della lotta biologica in Italia, ossia dell’utilizzo di determinati organismi (soprattutto insetti) per combatterne altri dannosi per le colture o l’ambiente, con il preciso intento di ridurre l’utilizzo di pesticidi. Si deve anche a lui la nascita del primo grande centro di ricerca in tal campo in Italia, il Bioplanet di Cesena.
Uno degli esempi più brillanti di narrazione creata dal professor Celli è il saggio “Ecologi e scimmie di Dio”, in cui brevi racconti uniscono insieme prosa brillante con riflessioni scientifiche approfondite e mai banali. Nell’apertura dell’opera, Celli invita a riflettere su come l’umanità stia mettendo a repentaglio il suo stesso futuro con la presunzione di poter modificare il proprio ambiente con la tecnologia e le sue capacità intellettive e discernitive che, per quanto straordinarie, potrebbero tramutarsi in un’arma a doppio taglio. “Il cervello ha inventato i nostri killer”, scrive Celli nella nota introduttiva e l’esempio non potrebbe essere più azzeccato. Celli si riferisce al cosiddetto fenomeno dell’ortogenesi, in cui i cambiamenti nella struttura corporea di determinati organismi portano a un immediato successo adattativo, senonché le modifiche possono essere talmente radicali e drastiche da portare in breve tempo la specie stessa all’estinzione.
È classico il caso dell’alce d’Irlanda, in realtà una specie di cervo, il cui palco si accrebbe a dismisura fino a diventare di dimensioni sproporzionate. Strutture così grandi, di oltre tre metri di larghezza, erano un’eccellente arma di difesa ma, nonostante un successo adattativo immediato, l’impaccio e il peso divennero insostenibili, al punto da segnare la scomparsa della specie. E se il nostro cervello fosse il prodotto di una ugualmente rovinosa ortogenesi?
Sebbene al giorno d’oggi le teorie più accreditate sull’estinzione di questo maestoso animale siano altre, l’esempio fornito dal professore è comunque significativo.
L’interrogativo posto da Celli è tuttora aperto a oltre trent’anni dalla pubblicazione di questo libro che per tantissimi aspetti si è rivelato profetico. Le nostre capacità immaginative e realizzative si sono spinte fino ai limiti con velocità imprevedibile, eppure “i nostri sogni sono cresciuti più in fretta della saggezza”, scrisse profeticamente l’amato professore amico degli animali.
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