Come trasformare un problema in una risorsa. Ci stanno provando alcuni ricercatori dell’Università di Camerino(*) in collaborazione con l’ittiologo Francesco Tiralongo(**) dell’Università di Catania. Al centro della questione c’è ancora una volta il riscaldamento globale, e quindi quello delle acque dei nostri mari, che ha come diretta conseguenza la progressiva “meridionalizzazione” del Mediterraneo, cioè l’espansione sempre più a nord di specie autoctone termofile un tempo confinate nelle aree marine meridionali. Senza contare il processo di “tropicalizzazione” del bacino, con l’ingresso e l’insediamento di specie provenienti da altri mari.
Le “nuove” specie finiscono sempre più spesso nelle reti dei pescatori e di conseguenza sui banconi del pesce, senza trovare però particolari riscontri positivi tra le preferenze dei consumatori, a cui risultano per lo più sconosciute. Con l’unica eccezione del Carango Ronco, scientificamente noto come Caranx rhonchus, un pesce morfologicamente simile ai Sauri o Sugarelli (Trachurus spp.), da cui è difficile distinguerlo per i non addetti ai lavori, e che viene appunto venduto con il nome di sauro imperiale.
Ed è proprio per vincere la naturale diffidenza verso queste “nuove” specie che ricercatori degli atenei di Camerino e Catania hanno analizzato le proprietà nutrizionali e la presenza di metalli pesanti nelle carni del Carango Ronco. I risultati sono decisamente incoraggianti e indicano definitivamente la specie come sicura, più sostenibile e sana rispetto a tante altre commercialmente note.
Secondo lo studio, recentemente pubblicato sul Journal of Marine Science and Engineering, e come spiega Francesco Tiralongo: «Il processo di meridionalizzazione, così come quello di tropicalizzazione dei nostri mari, rappresenta in alcuni casi una buona opportunità, soprattutto per la piccola pesca, che spesso si trova in gravi difficoltà. Puntando sulla divulgazione e sulla ricerca si possono trasformare le abitudini dei consumatori a favore delle specie non indigene. Senza contare che la pesca selettiva rappresenta anche un modo per tentare di controllarne le popolazioni. Questo tipo di ricerche in Mediterraneo sono ancora all’inizio, ma lo scenario attuale mostra un chiaro interesse verso questa direzione».
(*) Alberto Felici, Salvatore Coco e Alessandra Roncarati
(**) Ricercatore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali e del Laboratorio di Biologia della Fauna Marina Mediterranea coordinato dalla prof.ssa Bianca Maria Lombardo
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