I ristoranti che propongono sushi con la formula all you can eat sono praticamente ovunque. Pochi euro – solitamente una quindicina per il pranzo e una ventina per la cena – per mangiare tutto il pesce che si vuole.
Ma da dove arriva il pesce che finisce sui banconi dei sushi bar low cost? È possibile che un alimento del genere costi così poco?
Pesce non tracciabile
La filiera dei prodotti serviti nei ristoranti etnici è difficilmente controllabile, come più volte ha sottolineato anche Coldiretti.
Certo, alcuni ristoratori si affidano a canali di distribuzione regolari e regolamentati, ma la maggior parte delle volte gli esercizi commerciali che servono sushi hanno i loro fornitori.
Il pesce che finisce nei piatti dei consumatori è – molte delle volte – di provenienza straniera. Mentre il salmone è sempre di allevamento, i gamberetti e il tonno arrivano principalmente dall’Asia.
È quasi impossibile, dunque, risalire all’origine del pesce servito. Un problema non da poco, dal momento che pesci come il tonno possono avere nelle proprie carni concentrazioni preoccupanti di metalli pesanti.
Non da ultimo c’è l’aspetto legato alla sostenibilità della pesca: chi può assicurare che il pesce con cui il sushi viene preparato sia stato pescato in maniera sostenibile e non provenga, invece, da stock ittici già pesantemente sovrasfruttati?
Sushi made in China
Secondo gli ultimi dati, a Milano sono oltre 400 i ristoranti che nel loro menù propongono sushi. Solo 7, però, sono gestiti da giapponesi. Stesso copione anche a Roma: centinaia di sushi restaurant di cui solo una manciata gestiti da vero personale giapponese. Dietro l’esplosione dei sushi all you can eat c’è, infatti, la riconversione dei locali di cucina cinese tanto in voga fino a qualche anno fa.
Intossicazioni in aumento
Per poter essere consumato crudo in tutta sicurezza il pesce deve essere sottoposto a rigide procedure. Le carni devono essere congelate per almeno 24 ore a una temperatura costante di –20° C. I rischi, infatti, non mancano: uno dei maggiori è dato dalla presenza nelle carni mal conservate di larve di Anisakis, un verme parassita particolarmente pericoloso.
Le altre insidie sono rappresentate dai coloranti con cui la carne viene trattata per avere un aspetto più fresco: il monossido di carbonio per conferire un colore rosso brillante al tonno e acqua ossigenata per sbiancare il branzino.
Inoltre, non sono rari i casi in cui viene impiegato – sempre per lo stesso motivo – il Cafodos, additivo non commercializzato in Italia ma importato dalla Spagna.
I numeri dell’Agenzia di tutela della salute riferiscono di 47 casi di persone trattate – lo scorso anno – per sintomi riconducibili a un’intossicazione alimentare a seguito del consumo di sushi.
Insomma, di fronte a prezzi così bassi poniamoci delle domande sulla qualità di ciò che stiamo per mangiare.
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