I Colli Euganei ospitano una varietà di specie mediterranee assolutamente inusuale nel resto dei rilievi a nord del Po, con una vegetazione che ha tutti i caratteri della macchia mediterranea; essa occupa terreni siliceo-vulcanici, poco profondi e aridi e raggiunge il massimo rigoglio sui pendii ripidi esposti a sud o sud-est.
È caratterizzata per lo più da piante sempreverdi quali Cisto a foglie di salvia (Cistus salvifolius), Erica arborea (Erica arborea), Corbezzolo (Arbutus unedo), ai quali si unisce qua e là il Leccio (Quercus ilex), la specie più rappresentativa dell’ambiente xerofilo mediterraneo.
La diffusione di queste specie è un’importante testimonianza di carattere climatico; sono arrivate in antichi periodi caldi ed hanno trovato nei Colli Euganei le condizioni favorevoli per vivere; si insediano infatti nelle cosiddette oasi xerotermiche, aree in genere di limitata estensione, che hanno un clima più caldo rispetto ai territori circostanti, in relazione soprattutto all’esposizione a sud dei loro versanti che permettono la conservazione di biocenosi (flora e fauna) associate a climi caldo-aridi. Probabilmente tali biocenosi rappresentano relitti di oscillazioni climatiche più calde durante il Postglaciale. In particolare, tra i 7.500 e 4.500 anni fa, si raggiunsero temperature più miti delle odierne, (il cosiddetto optimum climatico, verso i 6.500 anni fa); mentre in pianura si affermava definitivamente il querceto misto, il Leccio e la Roverella (Quercus pubescens), un’altra quercia termofila, conquistarono le pendici degli antichissimi Colli Euganei, entrarono nelle basse vallate prealpine e salirono sui primi versanti del rilievo.
Il Cisto a foglie di salvia, deve il suo nome scientifico alle foglie rugose simili a quelle della Salvia; è un arbusto sempreverde alto 30-60 cm, le foglie sono opposte verde-grigie con abbondanti peli stellati. I fiori, che compaiono tra aprile e maggio, sono ermafroditi, isolati su un peduncolo lungo 3-10 cm e possiedono petali bianchi.
Come avviene in altre piante della macchia, la germogliazione dei semi in luoghi che hanno subito il passaggio del fuoco è molto superiore a quella dei semi in condizioni normali, questo perché sembra che il fuoco agevoli la rottura del loro duro tessuto legnoso protettivo.
L’Erica arborea è un arbusto sempreverde, molto ramificato, alto sino a 2-4 m, con tronco eretto, ma spesso contorto, corteccia ruvida, bruno-rossastra. Foglie semplici, aghiformi, di sotto con una linea bianca. Fiori piccoli, profumati, penduli, con corolla campanulata, bianca o rosea; fiorisce in primavera tra marzo e maggio.
Il suo areale principale è circummediterraneo, ma areali secondari relitti sono distribuiti sulle alte montagne dell’Africa centro-orientale. Queste disgiunzioni sono il risultato dello smembramento del vastissimo areale originario a seguito delle alterne vicende climatiche quaternarie, dell’avvento del clima desertico nell’Africa settentrionale e delle glaciazioni che quasi raggiunsero l’Europa mediterranea.
Il Corbezzolo, pianta mediterranea termofila sempreverde, raggiunge altezze variabili da 1-2 m fino a 8-10 m; foglie semplici, lunghe 4-10 cm, ellittiche, seghettate, verde scuro e lucide di sopra, più chiare di sotto. I fiori sono ermafroditi riuniti in infiorescenze terminali a pannocchia pendula (di 6-10 cm). I singoli fiori sono bianco-giallastri, e a volte presentano sfumature rosate più o meno intense. La fioritura si ha da ottobre a gennaio (spostata a volte a fine inverno). Il frutto è rappresentato da una bacca globosa di un bel rosso vivace a maturità. I frutti impiegano un anno a maturare e così, in autunno, sono presenti contemporaneamente sulla pianta i fiori e i frutti maturi dell’anno precedente.
Il Corbezzolo ha parti sotterranee che resistono al fuoco e che dalla cenere traggono alimento per crescere con nuovo vigore, per cui, anche se soggetto a continui tagli o all’aggressione di incendi, impedisce il denudamento del terreno.
La specie è spontanea negli areali del centro-sud Italia dove fa parte della macchia mediterranea associato in particolare al Leccio; nell’entroterra europeo raggiunge il suo estremo punto di penetrazione a settentrione proprio sui rilievi padovani.
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