Lo ammetto: l’orso Yogi, che ruba la merenda ai turisti in visita a Yellowstone, il Parco nazionale più famoso degli Stati Uniti, ha segnato la mia infanzia. Visitare questo luogo mitico da allora è sempre stato uno dei miei sogni nel cassetto, ma quando finalmente ci sono riuscito la prima impressione è stata, come spesso accade, inferiore alle aspettative.
Il motivo? Semplice: 30.000 visitatori al giorno, strade intasate come la Salerno-Reggio Calabria a Ferragosto e una tale ressa intorno agli animali e alle tante meraviglie geologiche del Parco che viene da chiedersi come mai i bisonti e i geyser non si ribellino a tanta invadenza. E per la verità ogni tanto lo fanno: è della scorsa estate la notizia di un bisonte che ha caricato, viene da dire comprensibilmente, una comitiva di turisti.
Il primo impatto con Yellowstone, tuttavia, non fu sufficiente a scoraggiarmi e da allora ho all’attivo diversi viaggi nel Parco nelle diverse stagioni dell’anno, esperienze che mi hanno segnato, soprattutto quando la morsa del turismo si allenta e la natura esprime tutta la sua indimenticabile bellezza, lasciando a bocca aperta anche il visitatore più insensibile.
Yellowstone, una storia a lieto fine
Yellowstone è il Parco dei primati. Innanzitutto è il più antico Parco nazionale del mondo, istituito nel 1872 sull’onda dell’emozione suscitata dallo sterminio di oltre 60 milioni di bisonti americani in pochi decenni. Sterminio che affonda le sue radici nell’odio nei confronti delle popolazioni indigene e nel tentativo di privarle di una delle loro più importanti fonti di sostentamento.
La nascita del Parco costituì una pietra miliare nella storia della conservazione in America e nel mondo, dimostrando che solo la messa in atto di un insieme di vincoli poteva garantire la tutela del patrimonio naturale.
L’area protetta di Yellowstone, con oltre 900.000 ettari, è tra le più grandi del pianeta e contiene il maggior numero di sorgenti geotermali della terra (più della metà), tra cui oltre 300 geyser. Il Parco, inoltre, dà ospitalità a un’incredibile varietà di specie animali tra cui l’orso grizzly, l’orso nero, il cervo wapiti, il bisonte, la lince, il coyote e il lupo.
Proprio la reintroduzione del lupo nel Parco rappresenta una storia a lieto fine: a lungo perseguitato, il predatore era definitivamente scomparso dall’area protetta intorno agli anni Venti. Tuttavia, l’aumento della popolazione di cervi wapiti conseguente alla scomparsa del loro predatore principale portò tali squilibri ambientali che nel giro di qualche decina d’anni il movimento a favore della reintroduzione del lupo guadagnò rapidamente consensi e, nel 1966, venne approvata dal Congresso la sua immissione controllata nel Parco che, però, avvenne materialmente solo nel 1995. Da allora la popolazione di lupi si è stabilizzata riportando l’equilibrio in un ecosistema precedentemente compromesso dalla innaturale assenza di un predatore così importante.
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