Per nutrire i più pregiati pesci d’acquacoltura, i mari africani si stanno svuotando.
La farina con la quale sono prodotti i mangimi per il pescato d’allevamento, infatti, è ricavata da specie più piccole e con meno valore commerciale.
M si tratta di una pratica dannosa, tanto per i mari al largo delle coste africane, quanto per la sicurezza alimentare e il sostentamento delle popolazioni locali, come denuncia la recente indagine di Greenpeace Pesce sprecato.
Si affamano le comunità per sfamare i pesci
Quello che a livello commerciale è considerato come pescato di scarso valore, in realtà è alla base del sostentamento di molte popolazioni locali come, per esempio, quelle dell’Africa Occidentale.
«La produzione di farina e olio di pesce causa la perdita di centinaia di migliaia di tonnellate di pesce idoneo all’alimentazione umana, con un impatto potenziale su oltre 40 milioni di consumatori africani, in favore delle esigenze dell’industria mangimistica» spiega Greenpeace.
Cresce l’export di farina di pesce
Il business del commercio di farina di pesce è in crescita e questo ha portato molte comunità locali a investire sul settore.
Come nel caso della Mauritania, diventato il maggiore esportatore di questo prodotto nella regione.
«Dalla nostra ricerca emerge che l’Europa, insieme all’Asia, è tra i principali importatori di questi prodotti e, in particolar modo, proprio l’Italia risulta essere il maggiore paese europeo a importare farina e olio di pesce dal Senegal» conclude l’associazione ambientalista.
La domanda che dobbiamo porci, come consumatori, è: da dove arriva il pesce che portiamo sulle nostre tavole e a quali costi sociali e ambientali viene allevato?
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