Piante abbarbicate su intonaci, piccole nicchie tra i mattoni, patine verdastre: l’occhio del naturalista, in versione pedone o sul sellino di una bicicletta, sa cogliere momenti e aspetti nelle situazioni più varie e, per i profani, inattese.
Anche in spazi urbanizzati ed intensamente antropizzati. È il caso dei muri, soprattutto se poco o punto curati: possono trasformarsi in veri e propri piccoli ecosistemi. Gli organismi che abitano rocce, massi e affini (rupicoli, nel gergo scientifico) non stan troppo a sottilizzare. Vuoi per morfologia, vuoi a volte per litologia – ovvero per composizione chimica – le somiglianze sopravanzano le differenze e comunità si insediano sulle pareti.
Alla vegetazione si associa piccola fauna: insetti – nidi di vespe in piccoli anfratti: un classico –, ragni e altri invertebrati. Non sempre compongono un quadro ricco e variegato, soprattutto quando il manufatto è seguito e curato. Diviene in questi casi, superficie per lo più grigia e anonima.
Agli occhi del sottoscritto, tuttavia, conserva fascino e attrattiva, anche se del tutto o pro parte privo di connotazioni naturalistiche.
Sussiste invece, ed è corrente di pensiero che raccoglie sempre più adepti, la tendenza al colorismo. Buonafede ed energie male indirizzate: le tonalità bigie dovrebbero, nei desiderata dei coloristi, essere annullate da interventi di vernici ed immagini colorate. Lo scopo sarebbe vivacizzare, pensa te, interi contesti. Chi scrive è cresciuto nei Settanta dalla tele in bianco e nero, certo: il dettaglio – roba da romanzo di formazione (Bildungsroman) da quattro soldi – assume connotazione vieppiù curiosa, se si pensa che all’epoca fu la politica a ritardare l’avvento del tubo catodico a colori, per non offrire alle masse distrazioni perniciose ed insidie per il portafogli.
Imprinting a parte, il colore ha per il sottoscritto valore intrinseco molto forte e significato quasi sacrale. Mica può essere sparso a piene mani e in ogni dove, quale espressione di horror vacui e di eretismo pittorico.
Ma c’è dell’altro: nelle nostre lande, è, il muro disadorno, in armonia con le atmosfere e i cieli che fan da sfondo. La sovrapposizione di tinte più o meno forti stride non poco.
Girando in bici, lo sguardo punta infastidito tanto su murales autorizzati quanto su graffiti odiosi e abusivi. E cerca invece istanti di natura sui muri. Fosse anche l’esotico glicine: l’affetto per il rampicante rimonta alla – ahinoi – lontana infanzia.
Una sorta di censimento degli esemplari più significativi del nostro territorio è idea da tempo nel cassetto del vostro ciclista totale: un giorno, chissà.
C’è chi invece raccoglie dati sulla vegetazione rupicola di città: spesso utili e significativi indicatori ambientali. Con le spalle al muro, appunto.
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