Per evitare l’indignazione di chi si sente impegnato in una crociata contro la plastica, chiarisco subito che condivido ogni iniziativa pubblica e privata volta a ridurre, fino a eliminare, l’uso di prodotti monouso.
Tuttavia non posso esimermi dal fare notare come l’informazione attorno alla plastica stia assumendo toni imbarazzanti.
Oggi le voci e le notizie non verificate si fanno strada rapidamente. Accade con un grado di abbondanza che non conosce precedenti nella storia del giornalismo e della comunicazione. Come ebbe a dire qualcuno – non ricordo chi – è tutto là fuori, il problema è che metà è vero, metà è falso, e non sai quale metà sia quale.
Cosa ci spinge a credere a una voce? E come valutiamo la sua accuratezza, ammesso che siamo interessati a farlo? In genere più è alta e solida la credibilità di chi diffonde la voce più siamo propensi a considerarla veritiera.
Attorno alla plastica, alla sua pericolosità e agli effetti deleteri sul pianeta si vanno diffondendo notizie di ogni genere. Alcune certe, altre ancora da accertare, altre infondate.
Capita che anche autorevoli testate e giornalisti esperti inciampino nel furore anti plastica.
Due casi recenti: su Radiotre, di solito brillante esempio di informazione puntuale e approfondita, un giornalista – dopo avere ascoltato la testimonianza di una radioascoltatrice orgogliosa di non acquistare più acqua minerale in bottiglie di plastica, bensì solo in vetro – ha replicato elogiando il comportamento virtuoso. Buona pratica, invece, sarebbe quella di consumare l’acqua del rubinetto e non quella imbottigliata, che sia in plastica o in vetro.
Un servizio andato in onda sul Tg1 lo scorso 3 aprile ha spiegato che presto potremmo disporre di bioplastiche prodotte con il carapace dei crostacei, che contiene il poliméro – pronunciato dall’autrice proprio con questo accento, lo stesso di Calimero – della chitina, la «micromolecola» di cui è fatta la plastica. Una svista lessicale di poco conto, che però non ti aspetti all’edizione delle venti del principale telegiornale italiano, ma che soprattutto rivela poco dimestichezza col tema affrontato.
Insomma, diamoci da fare per limitare l’uso della plastica. Però stiamo attenti anche a non trasformare questa battaglia nell’ennesimo alibi per non rivedere in forma più profonda i nostri comportamenti. Perché possano definirsi davvero sostenibili, essi dovrebbero tendere a ridurre i consumi di ogni prodotto, a prescindere dai materiali impiegati per ottenerlo. E impegniamoci tutti quanti anche a non dare voce a un’informazione di plastica.
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