Un report del WWF – “Inquinamento da plastica negli oceani” – e uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology, con la partecipazione dell’Università di Firenze, mostrano quella che è una vera e propria crisi planetaria, secondo la definizione data dalle Nazioni Unite. Il Report del WWF (scarica qui il documento) analizza oltre 2.590 studi sull’inquinamento da plastica negli oceani e fornisce l’analisi completa degli impatti che sta causando sulle specie e sugli ecosistemi marini, anche e soprattutto nel Mediterraneo.
Secondo il Report, è probabile che la crescita prevista dell’inquinamento da plastica comporterà in molte aree rischi ecologici significativi che indeboliranno gli attuali sforzi per proteggere e aumentare la biodiversità, se non si interverrà ora per ridurre la produzione e l’uso della plastica a livello globale.
«La via d’uscita dalla nostra crisi della plastica è che i Paesi accettino un trattato legalmente vincolante a livello globale che affronti tutte le fasi del ciclo di vita della plastica e che ci metta sulla strada per porre fine all’inquinamento marino da plastica entro il 2030» ha affermato Ghislaine Llewellyn, vice capo degli oceani, WWF. Più di 2 milioni di persone in tutto il mondo hanno firmato la petizione del WWF “stopplasticpollution”.
Superato il limite
L’inquinamento da plastica causa danni alla vita marina attraverso diversi meccanismi: intrappolamento, ingestione, soffocamento e rilascio di sostanze chimiche tossiche. La soglia massima tollerabile di inquinamento da microplastica (stabilita a 120mila oggetti per metro cubo) è stata già superata in diversi “hot spots” di inquinamento da plastica, incluso il Mar Mediterraneo, la Cina orientale e il Mar Giallo e il ghiaccio marino artico. Il Mar Mediterraneo raggiunge un triste primato: nelle sue acque si trova la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato.
Che il mare sia “malato” lo dimostra anche lo studio guidato da ricercatori dell’Università di lingua cinese di Hong Kong (“Fate and Effects of Macro-and Microplastics in Coastal Wetlands”, a cui ha partecipato anche l’Università di Firenze: la plastica nei pesci è 200 volte superiore rispetto a quella in acqua.
«Per convenzione, si definiscono microplastiche i pezzetti più piccoli di 0.5 cm. I dati analizzati portano a una media di 98 pezzetti di microplastiche contenuti all’interno di ogni chilo di animale marino delle zone costiere. Si parla di granchi, crostacei, chiocciole, cozze, vongole e pesci di varie dimensioni» spiega Stefano Cannicci, docente di Zoologia dell’Università di Firenze.
Dalle ricerche passate in rassegna emerge che una parte delle plastiche è entrata nel ciclo del carbonio – spiega ancora Cannicci –, cioè che esiste una flora batterica capace alla lunga di decomporla. È un elemento di speranza e uno spunto per approfondire le ricerche».
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