L’accumulo di animali, come abbiamo visto nelle precedenti puntate di questo viaggio dentro un problema di grande attualità, ha moltissime sfaccettature, che soltanto una volta comprese possono portare a una reale risoluzione dei casi di animal hoarding.
Ne parliamo con Emanuela Prato Previde, docente di psicologia all’Università Statale di Milano, che da anni studia la relazione del comportamento fra uomini e animali, occupandosi anche di accumulo compulsivo di animali, cercando di fornire indicazioni e possibili risoluzioni per contrastare un fenomeno che può causare grandissime sofferenze sia alle persone che agli animali.
Rivista della Natura – Dopo anni di studio su questo fenomeno, riconosciuto come un disturbo del comportamento negli USA sino dagli anni ’90 del secolo scorso, ci tratteggia un “ritratto” psicologico della persona che in generale si rende responsabile dell’accumulo compulsivo di animali?
Emanuela Prato Previde – «Il mondo degli accumulatori di animali è incredibilmente complesso e sfaccettato; tuttavia, le ricerche condotte in diversi paesi europei e non europei hanno consentito di individuare alcune caratteristiche proprie degli accumulatori e di identificarne alcune “tipologie” di base. Per quanto riguarda le caratteristiche, il problema dell’accumulo risulta essere significativamente più frequente nelle donne e gli individui coinvolti nei casi di accumulo sono persone in genere sopra i 50 anni, socialmente isolate e in molti casi single, divorziati o vedovi, spesso disoccupati o pensionati. Non bisogna, però, farsi guidare da stereotipi che possono essere fuorvianti: oggi sappiamo che il comportamento che porta all’accumulo di animali è trasversale a tutte le condizioni demografiche e socioeconomiche. Può interessare oltre a individui soli e svantaggiati dal punto di vista socioeconomico, anche persone apparentemente “insospettabili”, ben integrate nella società come ad esempio pubblici ufficiali, professori e veterinari, alcuni dei quali conducono una doppia vita, mostrandosi molto riservati e mantenendo una carriera di successo.
Tra le tipologie di accumulatori possiamo avere il “caregiver sopraffatto”, ovvero una persona generalmente sola, con un forte attaccamento nei confronti degli animali e che, a causa di difficoltà improvvise (malattie, problemi economici, perdita di una persona cara) non riesce più a prendersi cura di loro, ma non sa come uscire dalla situazione in cui si trova; oppure possiamo trovarci di fronte a “Il salvatore” che invece sente di avere la “missione” di salvare gli animali, che inevitabilmente e compulsivamente lo porta ad acquisirne in maniera attiva (ad esempio adottandoli nei rifugi o attraverso volantini). Ci sono anche accumulatori che i ricercatori hanno definito “sfruttatori” in cui l’accumulo di animali è associato a caratteristiche sociopatiche o a disturbi di personalità, per lo più di tipo narcisistico o antisociale».
RdN – Secondo la sua esperienza quanto è importante, anche sotto il profilo della cura del soggetto umano responsabile, un intervento precoce nel contrasto di questo fenomeno?
E.P.P. – «La possibilità di intervenire quanto prima sui fenomeni di accumulo di animali è fondamentale e questo è stato evidenziato in diversi studi condotti in diversi paesi soprattutto all’estero. Un intervento precoce non solo consente di ridurre la sofferenza fisica e psicologica degli animali, ma permette di iniziare un percorso di trattamento adeguato delle persone prima che il disturbo diventi troppo grave. Gli accumulatori in diversi casi non hanno solo problemi psicologici/psichiatrici più o meno importanti, ma possono avere anche problemi di salute fisica che possono peggiorare nel tempo. Nel complesso, i dati a disposizione ci dicono che non di rado la storia dell’accumulatore inizia con un numero relativamente basso di animali e che gradualmente la situazione si deteriora, sino a sfuggire di mano. Questo può avvenire in seguito all’acquisizione di animali (attivamente o passivamente), alla mancanza di denaro e di tempo per loro, a causa della non sterilizzazione e di una sempre più carente assistenza veterinaria e alla continua difficoltà di mantenere l’ambiente domestico in buone condizioni. In generale gli studi ci dicono che il fenomeno dell’accumulo di animali è un disturbo cronico che si aggrava progressivamente: quindi più precoce è l’intervento e meglio è per animali e persone».
RdN – Perché il problema non si può risolvere soltanto con l’allontanamento degli animali, ma richiede interventi strutturati e complessi, spesso trascurati da quanti si occupano di queste situazioni?
E.P.P. – «Perché gli animali sono solo una parte del problema che è molto complesso e implica diversi aspetti, tra cui quelli psicologici e/o psichiatrici. Spesso gli accumulatori di animali, in particolare la tipologia del “salvatore” e del “caregiver sopraffatto”, per quanto strano possa sembrare, hanno un attaccamento emotivo molto forte ai propri animali, che sono per loro fonte di conforto e di sicurezza, ma anche di un senso di connessione sociale e di autoefficacia. Pertanto, se le condizioni degli animali sono minimamente adeguate, si cerca di intervenire non sottraendo la totalità degli animali, poiché si verrebbe a creare un “vuoto” che attiverebbe il bisogno di acquisirne ancora appena possibile. Si è visto che interventi non esclusivamente “punitivi”, in cui alcuni animali vengono lasciati all’accumulatore provvedendo alla sterilizzazione e alle cure e vaccinazioni, riducono l’alta percentuale di recidive, tipiche di questa problematica. Questo richiede però un monitoraggio regolare della situazione oltre che interventi mirati sulla persona».
RdN – Quale ritiene possa essere il rimedio per affrontare con rapidità e in modo efficace la situazione?
E.P.P. – «Penso che la soluzione migliore, anzi l’unica che andrebbe perseguita, sia proprio quella di creare una task-force permanente che sia opportunamente formata per affrontare la situazione con tutte le sue sfaccettature. La natura complessa del fenomeno, con le diverse tipologie di accumulatori, rende i casi difficili da risolvere proprio in quanto è necessario il coinvolgimento di più servizi pubblici, come ad esempio quelli per la salute mentale, l’igiene, la tutela degli animali, la tutela degli anziani, dei bambini, le forze dell’ordine e i servizi sociali. Questo è non solo difficile da organizzare ma anche costoso ed è stato dimostrato che, laddove sono stati messi in atto interventi strutturati e integrati, si sono ottenuti risultati positivi sia per gli animali che per le persone. Questo soprattutto se l’intervento è accompagnato da un monitoraggio della situazione nel tempo e da una sensibilizzazione della popolazione sul fenomeno che permette di ricevere eventuali segnalazioni, prima che la situazione si dimostri eccessivamente deteriorata».
Ancora una volta, come viene detto molto chiaramente nell’intervista, il problema rimane la prevenzione e la creazione di una task force permanente, in grado di attivarsi rapidamente per affrontare con tempestività i casi, senza farli lievitare con conseguenze imprevedibili.
Leggi qui le prime puntate:
L’accumulo compulsivo di animali ha molte più facce di quanto si creda
Come prevenire l’accumulo di animali per evitare l’effetto valanga