Dopo 2 anni di stop è ripresa da metà giugno la caccia alle balene in Islanda. La famigerata compagnia di balenieri islandese “Hvalur” ha iniziato da metà giugno le operazioni di caccia, avendo già macellato – al momento in cui si scrive – oltre 50 Balenottere comuni (Balaenoptera physalus), una specie considerata dall’IUCN in pericolo di estinzione. La quota del 2018 assegnata alla società dal governo islandese è di 161 balenottere, ben 11 in più rispetto al 2015, a cui devono aggiungersi altri 30 esemplari dalla quota inutilizzata del 2017. Le balene possono essere cacciate in un periodo di 100 giorni a partire dal 10 giugno di quest’anno, per un totale di 191 cetacei. La compagnia di caccia alle balene di proprietà del ricco magnate della pesca e baleniere Kristján Loftsson consta di due vecchie navi costruite in Norvegia: la Hvalur 8 (varata nel 1948) e la Hvalur 9 (varata nel 1952) entrambe attive all’interno della ‘zona economica esclusiva’ (ZEE) situata a circa 150 miglia dalle coste islandesi.
La pesca di specie a rischio di estinzione
All’inizio di luglio una delle due baleniere è rientrata alla stazione di Hvalfjörður da una battuta di caccia con un’enorme balena dalla caratteristica sfumatura grigio-blu. Il materiale video e fotografico delle operazioni di scarico, realizzato dagli attivisti di Sea Shepherd, è stato commentato da diversi biologi marini che hanno identificato l’animale con un raro ibrido di balenottera azzurra (Balaenoptera musculus). La caccia alle balenottere azzurre è considerata illegale dalla legge islandese, discorso diverso invece per gli ibridi, la cui pesca è inspiegabilmente considerata legale, anche se la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione ne vieti espressamente l’uccisione. La conferma che si trattasse di un raro ibrido di balenottera azzurra è arrivata dai risultati dell’analisi del DNA sulle carni, realizzate dagli esperti dell’istituto di ricerca sull’acqua dolce e marina d’Islanda (Marine and Freshwater Research Institute, MFI). Tuttavia, prima dei prelievi, il personale della Hvalur aveva provveduto a mescolare i resti dell’esemplare con quelli di balene precedentemente smembrate.
Una pratica anacronistica
Il caso dell’ibrido di balenottera azzurra e la ripresa della caccia alle balene in Islanda hanno riaperto il dibattito su questa pratica così barbara e anacronistica. La carne di balena tra l’altro non rientra nemmeno nella dieta tradizionale degli islandesi, essendo destinata essenzialmente al mercato giapponese. Per non parlare dei ricavi: nel 2015 il quotidiano economico Viðskiptablaðið ha esaminato lo stato finanziario della società Hvalur che, a fronte di un profitto di 3 miliardi di ISK (circa 25 milioni di euro), considerando tutti i costi operativi (mantenimento navi, gestione del centro di caccia alle balene di Hvalfjörður, costi di esportazione), era caratterizzato da una perdita di 72,5 milioni di ISK (circa 600mila euro). Infatti, la maggior parte degli utili positivi proveniva da investimenti in altre società di pesca (in particolare dalla Vogun, controllata per il 99,8% da Hvalur). Per assurdo – ma poi neanche tanto – è molto più redditizio il turismo legato all’osservazione dei grandi cetacei: nella baia di Reykiavík ogni giorno centinaia di persone salgono sulle imbarcazioni che vanno ‘a caccia’ degli sbuffi di balenottere minori (Balaenoptera acutorostrata) ed altri cetacei, armati soltanto di macchine fotografiche e di tanto amore per la natura.
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