Ammetto di non avere ancora del tutto metabolizzato il “viaje” dentro e fuori di me che ho compiuto quest’estate. Trentacinque giorni di “provvisorio congedo dall’umanità” che – già per la mole temporale della pausa – sono inevitabilmente emollienti per lo spirito. Ma – come quando ci si allontana da un oggetto – man mano che i giorni passano, riesco sempre più a mettere a fuoco il soggetto della foto. E in questo hanno un ruolo preponderante i contatti con gli amici-compagni che ho trovato sul Cammino. Occhi, sensazioni, racconti e vicissitudini di persone che probabilmente avrei potuto non vedere più e che invece, come vuole l’incantesimo della Strada, rimarranno sempre con me. D’altronde i compagni di Cammino rappresentano per ogni pellegrino degli specchi per la propria esistenza e per le proprie abitudini. Non che la vita di un altro debba o possa essere presa a modello – non intendo minimamente dire questo – ma sicuramente offrono spunti di riflessione e confronto.
Sul Cammino (sia sul Francese che sul Nord) ci si imbatte spesso in delle lumacone senza guscio (il nome corretto sarebbe “Limaccia nera” o meglio “Arion Ater”) che attraversano i sentieri in cerca di umidità. Esse rappresentano, ne più ne meno, la metafora del pellegrino. Anche loro si sono lasciate la propria casa alle spalle e, nella migliore delle ipotesi, trasportano solo un “piccolo zaino” nascosto. Il loro tragitto, in proporzione al percorso compiuto dal pellegrino, è altrettanto lungo… considerando la loro “velocità” e l’esigua dimensione. E anch’esse rischiano di essere “schiacciate” dagli eventi, dalle vicissitudini della vita o – più miseramente – da una “distrazione” altrui o personale (la nostra stessa paura di vedere le cose scoperte dentro di noi lungo interi giorni di Cammino e silenzio, ci porta a ignorare dei suggerimenti che la strada ci ha fornito). E così, come il peregrino, le limacce intraprendono il loro viaggio verso un luogo lontano e sconosciuto. D’altronde il Cammino del Norte è un cammino duro. Un continuo saliscendi senza sosta. Talvolta la pioggia in Asturia (alle falde dei Picos de Europa) e in Galizia non da tregua ai pellegrini; e suo fedele compagno è il fango sempre presente. La temperatura che tutti si aspettano elevata, riserva talvolta delle sorprese al ribasso. Il fondo del percorso è spesso costituito dall’asfalto. Gli ostelli e gli albergue (municipali e privati) hanno tutti pochi posti, perché nel trend dei Cammini verso Santiago il vero exploit sta avvenendo negli ultimi anni. Tutti questi aspetti fanno sì che il pellegrino si concentri per più tempo e con più forza negli aspetti un po’ più esterni della sua meravigliosa esperienza. Lo reputo quindi un Cammino più fisico, meno spirituale del Francese, dove spunti, condizioni e luoghi riservano al viandante sguardi più interiori che di panorama.
Tutto questo però ha un meraviglioso rovescio della medaglia: una volta a casa, lo spirito del camminatore – graziato dai dolori del Cammino, da principi di tendiniti da “subida y bajada”, senza l’assillo della pioggia (catartica s’intende) o del fango – libero dai pesi fisici della sua esperienza, troverà spazio per librarsi nei meandri dell’anima. E lì che la magia del Nord prende piede. Come se Santiago o il cippo del chilometro zero di Finisterrae vi aspettasse a casa. Dove comincia il vero Cammino. Ho diverse esperienze di camminatore e qui non posso che esprimere il mio punto di vista: il Cammino del Nord è quindi una prova del nove. E come tale viene dopo l’operazione principale (il Francese). La prova del nove è un test di controllo, semplice ma non infallibile, per verificare l’esattezza del risultato. Personalissimo naturalmente.
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