Ispirata dai film di fantascienza e di spionaggio, la guerra biologica diventa realtà nel laboratorio della Johns Hopkins Applied Physics Lab, negli Stati Uniti, dove si studiano le applicazioni militari delle ricerche scientifiche biomediche.
Se sul finire del XX secolo sono stati i progressi della cibernetica a caratterizzare i campi di battaglia, nel prossimo futuro protagonista sarà la biologia. A partire dalla lotta contro i batteri antibiotico resistenti fino alle epidemie di nuovi virus, come Zika ed Ebola.
Se queste minacce sicuramente rappresentano delle sfide da affrontare per la sicurezza nazionale di molti Paesi, altro discorso è l’utilizzo delle scoperte biologiche per fini militari. Un “pentolone dello stregone” dove si mescolano gli ingredienti pescati nel mondo della ricerca scientifica per adattarli agli scopi bellici.
Queste tecnologie biologiche interessano – nel campo delle risorse strategiche – il prolungamento della durata della vita, umana e animale, la manipolazione genetica di piantagioni e allevamenti; nell’utilizzo specificamente bellico, inoltre, comprendono il miglioramento delle prestazioni fisiche e mentali, la riduzione del sonno, la connessione diretta tra cervello e macchina, l’identificazione rapida delle malattie per affrontare epidemie naturali o indotte, l’intelligenza artificiale per droni d’attacco autonomi, esoscheletri (o pelle corazzata), editing del genoma…
Una sfida per la diplomazia
La questione più urgente è che la comunità internazionale emani delle norme per la limitazione della proliferazione di queste tecnologie. Tecnologie biologiche di manipolazione di organismi viventi che sono oggi alla portata di nazioni, organizzazioni, ma anche di singoli individui. La possibilità, infatti, di creare armi biologiche sintetiche di distruzione di massa non è più così remota. Alla Johns Hopkins Applied Physics Lab si studia il modo di riconoscerle velocemente, sia per contrastarle, sia per individuarne gli autori a scopo deterrente.
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