Ecco un nuovo articolo tratto da Rivista Natura Air – il magazine digitale di Edinat
Come ogni anno, a inizio novembre, la superficie della baia di Hudson, lungo la costa nord-orientale del Canada, attende che il freddo vento del nord la trasformi in ghiaccio. L’acqua dolce del fiume si solidifica per prima e le lastre si riversano nella baia di acqua salata. Il vento artico dovrebbe compattare nel versante sud la copertura e l’abbassamento di temperatura saldare quasi tutte le fessure per creare un tappeto sufficientemente solido da permettere di essere calpestato dagli orsi che, affamati, non vedono l’ora di attraversarlo per andare a cacciare le foche e ricreare quella riserva di energia che permetterà loro di superare l’inverno.
Ma appena il vento sembra spirare da nord e fare il proprio dovere, ecco che il giorno successivo un cambio di direzione spinge nella baia aria più calda che riporta tutto alla situazione precedente. Gli orsi si aggregano nervosi, percorrendo continuamente il litorale, assaliti dalla fame.
Gli ultimi mesi sono stati duri per l’Ursus maritimus, nome scientifico dell’orso polare che ci racconta di come il mare glaciale che ricopre l’Artide sia il suo habitat naturale. In questo periodo i vari individui si sono nutriti con quel poco che hanno trovato. Del resto sono prettamente carnivori, al contrario dei più adattabili cugini bruni, che sono onnivori.
I loro corpi appaiono magri, spesso emaciati. Questo è il periodo dove subentra una forma di iperfagia funzionale, una ricerca ossessiva di cibo per creare scorte prima che il rigido inverno artico chiuda nuovamente la possibilità di caccia fino a primavera.
Le foche, il cibo preferito che apporterebbe in poco tempo molte calorie, non sono raggiungibili a causa della mancanza del ghiaccio.
In gioco c’è la sopravvivenza. Che fare?
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La lunga Attesa [/infobox]
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