Alle spalle di Castiglione della Pescaia, delle sue spiagge e delle sue pinete sul Tirreno, il paesaggio balneare lascia posto alla Maremma grossetana. Un alternarsi di colline sormontate da antichi borghi, e di pianure, invase a luglio da distese di girasoli. Tuttavia, un tempo l’aspetto di questi luoghi era profondamente diverso. Le terre sulle quali oggi si estende la Maremma grossetana un tempo erano occupate dalle placide e feconde acque del Lago Prile, approdo sicuro per le flotte etrusche e romane. Sulle alture attorno alle sue sponde gli Etruschi fondarono Vetulonia e Roselle.
La palude di Diaccia Botrona, il “padule” come la chiamano i toscani, è ciò che rimane di quello specchio d’acqua, che da Castiglione della Pescaia si estendeva fino a Grosseto. Scampata alla bonifica che nel corso dei secoli l’uomo ha operato in queste terre per debellare la malaria, oggi Diaccia Botrona è un vasto ambiente palustre di estremo valore per la sosta, lo svernamento e la nidificazione dell’avifauna acquatica. La provincia di Grosseto nel 1996 vi ha istituito una Riserva Naturale, ricompresa, tra l’altro, in una più vasta Zona Umida di Importanza Internazionale secondo la Convenzione di Ramsar.
Il padule, cuore della riserva
Il profilo inconfondibile di Casa Ximenes, la casa rossa, che solitaria sembra galleggiare tra i reticoli d’acqua, annuncia l’ingresso alla Riserva. L’area protetta è delimitata a Nord e a Ovest dal fiume Bruna, ormai prossimo alla foce presso il porto canale di Castiglione della Pescaia, mentre a Sud il confine è segnato dalla imponente pineta del Tombolo, un susseguirsi fittissimo di pini domestici (Pinus pinea) che disegna la costa fino a Principina Mare.
Cuore della Riserva è proprio il padule, circa 700 ettari, un paesaggio di terra e acqua dove il silenzio è interrotto solo dal fruscio del vento tra le canne. L’acqua, salmastra, ha una profondità media di 30-40 cm e comunica direttamente con il mare tramite canalizzazioni. Negli ultimi anni l’aumento della salinità sta progressivamente modificando sia la flora sia la fauna, ostacolando la presenza di alcune specie e favorendone altre.
È il caso della cannuccia palustre (Phragmites australis), della quale in passato erano presenti fitte formazioni, oggi molto ridotte. Il padule ospita ampie zone di giunco (Juncus sp.) e scirpo comune (Bolboschoenus maritimus).
Spostandosi verso la costa si incontrano le specie meglio adattatesi a vivere negli ambienti salini, vasti salicornieti in cui predomina la Salicornia europaea. Qui è anche possibile vedere un lembo residuo dell’antica foresta che ricopriva la zona, con esemplari di frassino (Fraxinus oxycarpa), olmo (Ulmus minor) e tamerice (Tamarix gallica). Il resto è macchia mediterranea, con leccio (Quercus ilex), sughera (Quercus suber), roverella (Quercus pubescens), corbezzolo (Arbutus unedo) e cisto (Cistus sp.).
Una sosta nella migrazione
L’avifauna acquatica trova a Diaccia Botrona una sorta di paradiso, anche se con il tempo tante specie strettamente legate ai canneti si sono fatte più rare a causa della riduzione di questi ambienti, come nel caso del tarabuso (Botaurus stellaris).
Nella Riserva sono state censite più di 200 specie di uccelli. La costante presenza del falco pescatore, dopo il suo ritorno come nidificante, arricchisce ulteriormente il già vasto patrimonio di biodiversità di quest’area.
Grandi protagonisti dell’area sono gli anatidi. Ogni anno si danno appuntamento qui per passare l’inverno dalle 5 alle 10mila anatre, soprattutto alzavole (Anas crecca), fischioni (Anas penelope), oche selvatiche (Anser anser), mestoloni (Anas clypeata), germani reali (Anas platyrhynchos).
La progressiva trasformazione della palude in laguna salmastra ha favorito la presenza di alcune specie, come i fenicotteri (Phoenicopterus ruber), che qui possono contare su vaste estensioni di suoli allagati privi di vegetazione. Durante le migrazioni e lo svernamento si osservano anche pettegole (Tringa totanus), piovanelli pancianera (Calidris alpina), pavoncelle (Vanellus vanellus), totani moro (Tringa erythropus).
La pineta del Tombolo, inoltre, risulta essere una delle zone d’Italia a più alta densità di ghiandaie marine (Coracias garrulus), dagli inconfondibili toni marroni e celesti. Da ricordare, infine, le colonie nidificanti di airone cenerino (Ardea cinerea) e di garzetta (Egretta garzetta). I rapaci più facilmente osservabili sono il falco di palude (Circus aeruginosus) e l’albanella reale (Circus cyaneus).
Tra i mammiferi presenti nella Riserva, si ricordano l’istrice (Hystrix cristata), la nutria (Myocastor coypus), giunta qui dal vicino corso dell’Ombrone, il riccio (Erinaceus europaeus), la martora (Martes martes) e la volpe (Vulpes vulpes). Tra gli anfibi, è frequente il rospo smeraldino (Bufo viridis), che ben tollera la presenza di acque salmastre, al contrario della rana verde (Rana esculenta), sempre più rara; segnalato anche il tritone crestato italiano (Triturus carnifex); tra i rettili si segnalano il cervone, (Elaphe quatuorlineata), serpente a distribuzione tipicamente centro-mediterranea, la testuggine comune (Testudo hermanni) e la testuggine palustre (Emys orbicularis).
La fauna ittica è composta essenzialmente da specie che prediligono le acque salmastre e che penetrano nella Riserva dal mare con i movimenti di marea: oltre all’anguilla (Anguilla anguilla) si trovano cefali, spigole, orate. Presente in abbondanza anche il cuore edule (Cerastoderma glaucum), mollusco bivalve dalla conchiglia globosa.
A Diaccia Botrona, infine, trova il suo habitat ideale il nono (Aphanius fasciatus), un pesciolino tipico delle lagune e ottimo indicatore degli ambienti non inquinati.
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