Gli uccelli sono gli indiscussi protagonisti del cielo, con circa diecimila specie al mondo, quasi tutte buone volatrici (anche se alcuni come lo struzzo e il kiwi, non hanno mai imparato a staccarsi da terra). La muscolatura del petto e le loro ali, un piccolo capolavoro di ingegneria, consentono a questi animali di mettere in pratica il volo battuto, l’unico che garantisce una totale libertà di manovra, anche se con un costo energetico elevato.
Osservando lo scheletro di un uccello si riconoscono immediatamente gli arti anteriori che danno vita all’ala, con ossa simili a quelle delle nostre braccia, ma senza una vera e propria mano. Le penne, indispensabili per il volo, sono attaccate lungo questo arto.
Anche tra i mammiferi esiste qualcosa di simile: l’ala dei pipistrelli. Mancano le penne, che sono sostituite da una membrana di pelle, chiamata patagio, che si stende tra quattro lunghissime dita, che tengono l’ala in tensione, ma la struttura ossea è simile.
Un’esigenza comune: il volo
Pipistrelli e uccelli hanno, in effetti, un lontanissimo antenato comune, un “quadrupede” che aveva anche molto in comune con i rettili, vissuto prima dei dinosauri, il quale aveva zampe che non erano troppo diverse da quelle degli attuali vertebrati.
In tempi più recenti le ali sono comparse in entrambi i gruppi, mammiferi e uccelli, come modifiche agli arti anteriori e per questo sono definite omologhe, cioè corrispondenti. Sarebbe però sbagliato pensare che i pipistrelli “derivino” dagli uccelli o viceversa: entrambi ha sviluppato le ali per conto proprio, rispondendo alla necessità di volare.
La cosa affascinante è che strutture simili alle ali sono comparse a più riprese in gruppi animali completamente diversi da questi, tra cui i rettili (lucertole del genere Draco, in Borneo) che hanno “modificato” le loro costole per poterle distendere in volo formando una superficie planante, o gli insetti, che invece hanno appendici del tutto diverse dalle zampe dedicate al volo.
Le ali di tutti questi animali sono definite analoghe, cioè con una stessa funzione, ma non sono omologhe, perché hanno origini diverse.
Sono però un esempio perfetto per raccontare un processo naturale detto tecnicamente “convergenza evolutiva”, per il quale una comune esigenza – il volo, nel nostro caso – porta gli animali a sviluppare soluzioni simili partendo da organi spesso molto diversi.
In Natura questa “spinta” è molto più intensa e diffusa di quanto si pensi e i casi che tratteremo raccontano alcuni degli esempi più curiosi.
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