Alcuni giorni fa abbiamo dato notizia di nuove importanti scoperte riguardanti lo spinosauro, un dinosauro vissuto 95 milioni di anni fa che, in quanto a iconicità e potenza, non ha davvero nulla da invidiare al famoso T-Rex. Si tratta, infatti, del dinosauro predatore più grande finora mai scoperto e di uno dei ritrovamenti paleontologici più importanti degli ultimi decenni, grazie al quale si è dimostrato che i dinosauri non erano necessariamente solo animali terrestri.
A raccontarci l’affascinante storia del suo ritrovamento è il paleontologo di fama internazionale Cristiano Dal Sasso, del Museo di Storia Naturale di Milano, non una semplice voce narrante, ma uno dei principali protagonisti che hanno contribuito a dipanare una serie di misteri riguardo a questa specie.
Intervistare un paleontologo è un po’ come piombare nell’intricata trama di un film d’avventura, ricco di colpi di scena e suspense… E la vicenda che sta intorno alla scoperta dello spinosauro sembra davvero uscita dalla penna di uno sceneggiatore, pronta per il primo ciak di riprese.
Cristiano Dal Sasso – Questa è la storia di un dinosauro perso e ritrovato. Per raccontarla bisogna, però, fare un salto indietro nel tempo, al 1912, quando un paleontologo tedesco di nome Ernst Freiherr Stromer porta alla luce tra le sabbie del Sahara egiziano i primi resti mai trovati prima di uno spinosauro, un grande rettile carnivoro vissuto in Nord Africa 95 milioni di anni fa. Rientrato in Germania, lo scienziato pubblica e descrive la nuova specie, delineandone la carta d’identità e i segni particolari: la presenza lungo il dorso di una grande vela sostenuta da lunghe spine connesse alle vertebre. Il dinosauro ritrovato da Stromer, a cui fu dato il nome di Spinosaurus aegyptiacus, era quello che in gergo tecnico si definisce “l’olotipo”, l’esemplare di riferimento. Purtroppo, i bombardamenti del 1942/44 sulla città di Monaco di Baviera, distrussero per sempre questi preziosissimi reperti. Rimase solo qualche appunto di Stromer, ma per molti anni questo dinosauro ripiombò nell’oblio.
Rivista della Natura – A risvegliarlo è Steven Spielberg nel 2001…
C.D.S. – Sì, a un certo punto il regista lo introdusse nel terzo capitolo della saga di Jurassic Park, facendolo lottare con un T-rex. La cosa paradossale è che nel giro di pochissimo tempo divenne agli occhi del grande pubblico uno dei dinosauri più noti, mentre fino a quel momento per i paleontologi era rimasto quasi uno sconosciuto.
R.d.N. – Poi cosa succede?
C.D.S. – Succede che nel 2008 io e Simone Maganuco – col quale stavo completando la monografia su Ciro (ovvero Scipionyx samniticus, Ndr) – riceviamo via e-mail da Flavio Bacchia, geologo di Trieste, una foto accompagnata da un messaggio telegrafico: «Lunghezza della spina 132 centimetri: che ne pensate?». Sono letteralmente rabbrividito e ho subito commentato con Simone “questo è uno spinosauro”. Bacchia, da parte sua, scrivendo in una sola riga “132 centimetri” aveva chiaramente evidenziato l’eccezionale lunghezza di questa spina e cioè uno dei caratteri distintivi dello spinosauro. Non c’era dubbio. Queste spine neurali ipersviluppate mi erano famigliari perché le avevo studiate all’università sui disegni seppiati di Stromer ed erano ben stampate nella mia mente. In più, io e Simone avevamo a lungo lavorato su un cranio di spinosauro proveniente dal Marocco che faceva parte delle nostre collezioni museali.
Tuttavia, mi son detto: calma, verifichiamo bene. Qualche settimana dopo abbiamo dato a Bacchia le risposte che cercava: si trattava effettivamente di vertebre di spinosauro, anzi di più di una: erano due corpi vertebrali, uno con una spina quasi completa e l’altro con delle porzioni di spina.
Bacchia ci raccontò di aver visto le ossa nel mercato di una cittadina del Marocco meridionale, Erfoud, nella regione di Kem Kem, e che un beduino gli aveva fatto capire che ce ne erano altre, provenienti sempre dallo stesso sito e molto probabilmente dallo stesso animale. Era chiaro che da quelle sabbie stava saltando fuori un nuovo scheletro di spinosauro, a quasi 100 anni dalla scoperta di Stromer. A quel punto, era fondamentale che il materiale non si disperdesse ma, al contrario, venisse ricomposto.
R.d.N. – Come un mosaico….
C.D.S. – Esattamente! Alle prime tessere se ne aggiunsero delle nuove. Si trattava di due femori e appena li vedemmo ci fu subito chiaro che erano appartenuti a un dinosauro carnivoro, ma assai diverso da quelli che finora avevamo osservato: i femori erano snelli, ma curvi, mentre il piede terminava con artigli appuntiti, ma piatti. Da lì abbiamo incominciato a pensare che la zampa potesse avere un po’ l’aspetto di quella di una papera, larga, forse palmata.
R.d.N. – Poi, circa un anno dopo, durante un convegno di paleontologi a Bristol, in Inghilterra, conoscete Nizar Ibrahim, un collega dell’Università di Chicago di origini tedesche e marocchine.
C.D.S. – Il nostro, per la verità, era un approccio interessato. Sapevamo che per la tesi di laurea Ibrahim stava ristudiando il materiale proveniente proprio dai giacimenti della regione di Kem Kem. Ma non immaginavamo che quell’incontro sarebbe stato cruciale. Ci appartammo in un corridoio buio, lontano dagli sguardi indiscreti di altri colleghi presenti al convegno, e Ibrahim ci mostrò delle foto. Anche noi avevamo portato le nostre, ma Ibrahim non poteva saperlo. Le sue immagini mostravano spine di vertebre allungate, non complete, ma che in sezione, come forma e colore, erano esattamente identiche alle “nostre”. Ci raccontò di averle comprate per conto dell’Università di Casablanca da un beduino di Erfoud, la stessa cittadina di cui ci aveva parlato Bacchia, dove l’anno prima erano state viste rotolare giù da un pendio roccioso delle strane ossa. Il beduino teneva la preziosa merce dentro una scatola per scarpe, legata alla sua bicicletta con dello spago.
R.d.N. – A quel punto anche voi avete scoperto le vostre carte.
C.D.S. – Sì, quando Ibrahim vide le nostre foto ipotizzò subito che potessero addirittura appartenere allo stesso esemplare, anche se le sue ossa erano molto più frammentate delle nostre, tanto che, appunto, potevano stare dentro una scatola da scarpe. E se effettivamente c’erano in giro ossa di un unico esemplare di spinosauro, queste meritavano di essere riunite e studiate da un gruppo internazionale di paleontologi.
A questo punto era davvero necessario ritrovare il luogo di provenienza delle ossa.
R.d.N. – Un po’ come cercare un ago in un pagliaio…
C.D.S. – Ibrahim tornò in Marocco. Era avvantaggiato, parlava arabo, conosceva bene il territorio. Ma rintracciare il beduino che gli aveva dato le ossa non era semplice, anche perché i baffi – l’unico particolare che ricordasse di quella persona – da quelle parti non costituiscono certo un segno particolare. Ibrahim lo cercò ovunque, senza successo, fino a quando l’ultimo giorno della sua trasferta marocchina, seduto ad un bar, lasciata ormai ogni speranza, se lo vide passare davanti.
R.d.N. – Giallo risolto…
C.D.S. – Non ancora. Il beduino non era disposto a rivelargli il luogo esatto. Disse, però, a Ibrahim che di ossa ne aveva trovate altre, e di averle offerte a un italiano. Il mosaico cominciava a prender forma.
R.d.N. – Quindi, mentre uno le fotografava sulle bancarelle del mercato, l’altro le riceveva in una scatola da scarpe.
C.D.S. – Esattamente, quasi in contemporanea.
R.d.N. – Ma Ibrahim come convinse il beduino a rivelargli il posto?
C.D.S. – Gli disse che in quel modo avrebbe fatto onore al suo Paese, anziché passare per un trafugatore di beni: trovare la località di origine avrebbe infatti motivato il rimpatrio del fossile.
Quando Ibrahim venne finalmente accompagnato su un pendio roccioso, si rese immediatamente conto di essere giunto alla meta: il contesto geologico era quello giusto perché i sedimenti avevano lo stesso colore delle concrezioni che incrostavano le ossa, e c’erano ancora dei frammenti di quello scheletro sparsi nella sabbia…
R.d.N. – Tanti?
C.D.S. – Durante il sopralluogo a cui in seguito ho partecipato anch’io abbiamo setacciato i detriti di scavo e trovato una decina di denti che appartenevano alla mandibola dello spinosauro, oltre a frammenti di spine con i quali siamo riusciti a comporre un’altra spina del dorso. A parte la nicchia di escavazione indicata dal beduino – dalla quale sono state recuperate le zampe posteriori – gli altri strati erano ancora vergini. In seguito da quel sito abbiamo poi estratto la coda intera “da tritone” dello stesso esemplare, poi pubblicata su Nature nel 2020…. (vedi articolo su rivistanatura.com)
R.d.N. – Ci sono ossa importanti che mancano all’appello?
C.D.S. – Certo, le zampe anteriori: c’è solo una falange.
R.d.N. – Però quello che avete recuperato vi ha consentito di farvi ugualmente idee molto precise sulle caratteristiche di questo animale…
C.D.S. – Che potesse essere un animale semiacquatico lo abbiamo capito dopo aver studiato l’esemplare nel suo complesso e completandolo anche con ossa provenienti da altri esemplari custoditi nei musei di varie parti del mondo. Ma l’immagine di cosa fosse davvero lo spinosauro l’abbiamo potuta avere soltanto analizzando una a una queste ossa: le proporzioni corporee a cui rimandavano non collimavano con l’anatomia funzionale di un dinosauro terrestre. D’accordo, poteva non essere un corridore, ma se avesse vissuto sulla terraferma avrebbe avuto dei problemi di equilibrio perché il baricentro in un animale bipede deve essere al centro dell’anca, altrimenti cade in avanti… mentre nel nostro spinosauro si trova molto più avanti del bacino. Di conseguenza questo animale non poteva essere facilmente bipede. Al contrario, passando gran parte del suo tempo in acqua poteva ovviare a questi problemi, e, anzi, riuscire addirittura a muoversi meglio.
R.d.N. – Dunque viveva in acqua.
C.D.S. – La riprova l’abbiamo avuta quando ci siamo accorti che a questo animale mancava una nota distintiva dei dinosauri carnivori, che sono tutti terrestri: le ossa cave, che poi negli uccelli, loro discendenti, diventano fondamentali per il volo. Come mai? Doveva esserci una spiegazione… Su Internet mi sono imbattuto in una serie incredibile di articoli scientifici riguardanti le cavità midollari degli antenati di balene e delfini, ma anche di certi rettili che ad un certo punto della propria storia evolutiva tornarono a vivere in acqua. Ebbene, secondo questi studi, gli animali che si sono adattati a vivere in acqua hanno modificato le ossa per evitare di galleggiare troppo e per irrobustirle. Per farlo, il tessuto osseo ha dovuto colonizzare anche la cavità midollare. Ecco la risposta che cercavamo.
R.d.N. – In fondo è l’ennesima lezione che la Natura ci dà sulla sua capacità di adattamento…
C.D.S. – Ma anche di come nulla di ciò che è preesistente viene sprecato. Questo è molto importante nel concetto di evoluzione. La stessa struttura già presente viene trasformata attraverso un’innovazione: per esempio l’arto anteriore del velociraptor, allungatosi per catturare meglio le prede, negli uccelli diventa poi un’ala che consente il volo. C’è proprio una re-interpretazione di una struttura, che non viene quasi mai abbandonata perché sarebbe uno spreco troppo grande per la Natura, che ne reinventa una nuova funzione.
RdN: – È la stessa idea che sta alla base del riciclo e del recupero delle risorse…
C.D.S. – Esattamente. Non abbiamo inventato proprio nulla di nuovo.
Carta d’identità
Nome: Spinosaurus aegyptiacus
Quando è vissuto: 95 milioni di anni fa
Dove: in Nord Africa
Caratteristiche: è il primo dinosauro semiacquatico mai scoperto e, con i suoi 15 metri di lunghezza, il più lungo predatore finora ritrovato (superiore anche a Tyrannosaurus rex)
Segni particolari
- Narici piccole e situate a metà lunghezza del cranio, per respirare anche quando buona parte del muso si trovava in acqua.
- Sensori di pressione posti all’estremità del muso, come nei coccodrilli, per percepire i movimenti in acqua.
- Enormi denti conici con un letale meccanismo di incastro per intrappolare i pesci.
- Collo e tronco allungati per rendere più semplici i movimenti in acqua.
- Potenti braccia con artigli ricurvi e affilati come lame per agguantare prede scivolose.
- Bacino piccolo e gambe corte, con cosce muscolose molto utili per il nuoto.
- Ossa particolarmente dense, prive delle tipiche cavità midollari aperte per il controllo dell’assetto in acqua, come nel pinguino imperatore.
- Ossa dei piedi larghe con artigli grandi e piatti per muoversi su superfici fangose.
- Vertebre della coda articolate tra loro in modo lasco per favorire le ondulazioni propulsive in acqua.
- Spine delle vertebre dorsali enormi, coperte di pelle a formare una gigantesca “vela” sulla schiena del dinosauro.
- Coda a nastro, che funzionava come una pinna