Guardai sul taccuino l’ultimo nome, accompagnato da un numero di telefono. Era quello di Marco, un mio vecchio amico di liceo, e con lui avrei terminato le visite domiciliari della giornata e sarei potuto finalmente andare a casa. Avevo provato a telefonare due volte a quel numero, per avvertire
Marco che sarei arrivato a breve, ma nessuno aveva risposto. Siccome il mio amico aveva insistito perché passassi quella sera dato che, a detta sua, il suo gatto stava malissimo e si comportava in maniera strana, riprovai un’ultima volta. Ancora nessuna risposta. Scrollai le spalle e decisi di andare lo stesso.
La casa di Marco si trovava in un vicolo cieco nei pressi del quartiere dove abitavo io. A destra del portone di ingresso della sua villetta non c’era che una piccola targa con il suo nome.
Dopo aver bussato, udii un rumore di passi, poi il portone si aprì da una parte e comparve Marco. Era un giovanotto magro, dalla folta capigliatura e con il viso bianco e rosa.
«Buonasera Stefano, ti chiedo scusa, non avevo proprio sentito il telefono squillare. Ho visto ora le tue chiamate. Hai fatto bene a passare, Missy fa dei rumori stranissimi».
Missy era un persiano ed era per Marco il suo primo gatto. Lo aveva adottato da circa un anno. «Ok, andiamo a vedere Missy, intanto descrivimi cosa intendi per rumore strano e quando hai iniziato a notare questa cosa», dissi a Marco.
«Mah, non saprei. La notte viene a dormire nel letto con me, ma sono un po’ preoccupato, perché mi sembra che respiri male. Fa strani versi con il naso», mi rispose.
Allora intuendo a cosa si riferisse, imitai il rumore che, a mio parere, poteva essere. A quel punto Marco esclamò: «Sì, fa proprio così!».
Sarà stato anche un secchione al liceo ma Marco non sapeva nemmeno che “quei rumori” erano semplicemente le fusa del gatto.
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