Dopo un testo di non facile lettura, anzi a tratti ostico se non criptico, come è la Cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda, questa settimana vorrei parlarvi di un libricino pubblicato in Italia nel 1990 da Theoria che ho molto amato e apprezzato anche per il suo stile semplice e scorrevole: Il re degli alberi dello scrittore cinese Acheng.
È un lungo racconto disperato eppure pacato nei toni. Tra i protagonisti ci sono un grande albero solitario in cima a una montagna e un omino basso, ma di straordinaria forza fisica, Lao Xiao detto Grumo, boscaiolo troppo rispettoso degli alberi e per questa ragione condannato, dopo la Rivoluzione culturale, a coltivare verdure e diffidato dall’impicciarsi nella politica di disboscamento che il governo attua senza scrupoli. Il progetto è fin troppo chiaro: abbattere le piante inutili e sostituirle con quelle utili.
Qui entra in gioco un’altra figura centrale: Li Li, giovane rivoluzionario e fervente sostenitore del presidente Mao Zedong e delle sue direttive. Lui e altri giovani studenti portano avanti il loro compito con convinzione: abbattono gli alberi senza chiedersi perché lo stanno facendo. O meglio, convinti di farlo in nome di una rivoluzione: «Grandioso. Trasformare la Cina. Grandioso», esclama orgoglioso Li Li.
Non tentennano mai, nemmeno davanti all’esemplare maestoso che fin da subito ribattezzano il re degli alberi, ignari che in realtà quell’epiteto si riferisce a una persona, Grumo, e non a una pianta. Il loro entusiasmo e la loro cecità si scontrerà però con la reale forza della natura. Non vi svelo cosa accadrà alla fine.
Il libro suona come un atto di denuncia verso ogni forma di fanatismo. Il massacro capriccioso perpetrato nei confronti della foresta non porta in realtà a nessun rinnovamento, si limita a distruggere senza costruire. Nello scontro tra il Grumo e Li Li entra in gioco la visione del mondo. Quella del Grumo passa attraverso la vita degli alberi; quella di Li Li è dettata dall’imposizione ideologica, che vede grettamente gli alberi quali oggetti produttivi o improduttivi. Può apparire una situazione anacronistica e invece, a pensarci bene, siamo ancora fermi lì.
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