Non so se Edgar Morin, del cui libro intitolato Il pensiero ecologico ho scritto la scorsa settimana, abbia mai letto Carlo Emilio Gadda. Se lo ha fatto, sono certo che ha trovato ne La cognizione del dolore un afflato ecologista ante litteram.
Non è un libro semplice da leggere, occorre ammetterlo. Del resto la scrittura di Gadda affascina proprio perché è ricca di iperboli, di fantasia e di termini che spesso richiedono di avere vicino un vocabolario da consultare.
Il “gran lombardo” narra la speculazione edilizia a modo suo, quando ancora il tema non era “alla moda”. Ci parla di quella speculazione, a volte legalizzata, che ha distrutto tratti di natura e borghi antichi, cancellato campagne, impoverito vasti orizzonti. Una speculazione che al Nord come al Sud non si è mai arrestata, anzi si è via via “arricchita” di opere pubbliche inutili e quartieri orribili.
In fondo siamo un po’ tutti figli di quei “pastrufaziani” che hanno oltraggiato il paesaggio “sudamericano” inventato dalla folgorante penna di Gadda, dove dilaga il guazzabuglio edilizio e urbanistico della nascente classe media.
Ecco la sua fantasiosa eppure vivida descrizione del territorio profanato, vale più di mille trattati di ecologia del paesaggio:
«Di ville, di ville!; di villette otto locali doppi servissi; di principesche ville locali quaranta ampio terrazzo sui laghi veduta panoramica del Serruchón – orto, frutteto, garage, portineria, tennis, acqua potabile, vasca pozzonero oltre settecento ettolitri (…) di ville! di villule! di villoni ripieni, di villette isolate, di ville doppie, di case villerecce, di ville rustiche, di rustici delle ville, gli architetti pastrufaziani avevano ingioiellato, poco a poco un po’ tutti i vaghissimi e placidi colli delle pendici preandine, che, manco a dirlo, «digradano dolcemente»: alle miti bacinelle dei loro laghi».
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