Nel suo libro “L’oro del mondo” Stefano Vassalli racconta la storia del giovane Sebastiano, che nell’immediato secondo dopoguerra viene affidato allo zio Alvaro, che sbarca il lunario cercando l’oro sulle sponde novaresi del Ticino. Qui, in una sorta di frontiera padana alla Mark Twain popolata da bracconieri, barcaioli e ambulanti più o meno cialtroni, il giovane affronta il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
Ebbene, al di là della trama del romanzo, la parte relativa alla ricerca dell’oro lungo il Ticino si riferisce ad antiche tradizioni reali.
Già gli antichi Romani lo sapevano molto bene, tanto impiegare, come ci descrive Plinio il Vecchio, una forza lavoro pari a 5.000 schiavi per l’estrazione del prezioso metallo dai bacini fluviali della Bassa Gallia (Piemonte e Lombardia occidentale).
Ancora sino a pochi secoli fa in diversi paesi rivieraschi, come ad esempio Motta Visconti (MI), gli uomini usavano regalare alle loro spose la fede nuziale con l’oro ricavato dal fiume.
In realtà l’oro è distribuito ampiamente in tutta la crosta terrestre, con una concentrazione media di 0,03 ppm (0,03 grammi per tonnellata). Giacimenti di minerali d’oro si trovano nelle rocce metamorfiche e nelle rocce ignee, da cui si formano per dilavamento i giacimenti di oro alluvionale.
E i corsi d’acqua che si originano dalle nostre Alpi Occidentali sono appunto quelli più ricchi del prezioso metallo.
Infatti tra i fiumi con più residui di oro in Italia troviamo appunto il Ticino, ma anche l’Orco, l’Elvo e l’Orba. Normalmente l’oro alluvionale si presenta in piccole lamine da 2 a 4 millimetri e si riesce a recuperarlo, in quanto il giallo metallo ha un peso specifico molto elevato e si separa facilmente dalla sabbia.
Nel Ticino oggi si possono trovare pagliuzze d’oro di pochi millimetri soprattutto nel tratto da Bereguardo in sù verso Magenta e sino a Sesto Calende. Nella zona di Golasecca anche qualche raro frammento più grande di 1,5-2 cm.
In particolare, l’oro presente nelle sabbie del Ticino può trarre origine a partire dalle notissime miniere della Valle Anzasca fino alle meno note miniere di Gondo nella vicina Svizzera.
Il fiume, soprattutto nel corso delle piene, accumula sabbie aurifere nei punti dove la corrente perde di energia, in corrispondenza di anse e rientranze denominate “punte”.
La ricerca sul fiume avviene utilizzando un’attrezzatura semplice: stivali di gomma e una “batea” (la padella del cercatore) che abbiamo visto in tanti film americani. Talvolta vengono impiegati anche setacci e una “canalina” di legno: lo scopo di ogni attrezzo è quello di eliminare la ghiaia e i sedimenti.
Il principio sia per l’uno che per l’altro strumento di ricerca è sempre lo stesso: per l’elevato peso specifico l’oro rimane sul fondo durante i lavaggi mentre le sabbie più leggere sono man mano eliminate.
«Sul Ticino quei macchinari che prelevano tonnellate di terra per volta non si possono utilizzare ma si deve fare fa tutto a mano» spiega Luca Pasqualini dell’Associazione Cercatori D’Oro Valle Ticino Pavese. E anche l’ormai sempre più cronica siccità non giova a chi cerca l’oro lungo il fiume.
«Serve qualche piena – conclude Luca – per smuovere un po’ l’oro, con questa siccità il lavoro è più difficile”.
Insomma anche sulla ricerca dell’oro influisce la carenza idrica. E siamo solo agli inizi.
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