Qualche tempo fa, mentre stavo guardando un aereo che passava sopra la mia testa, un bambino, a modo suo curioso, mi chiese cosa stessi facendo. «Guardo l’aereo» risposi. Il bambino, a sua volta, disse: «Perché? Tanto passano sempre!». Certo non è una storia da tramandare ai posteri, ma all’epoca mi colpì molto. Fu così che iniziai a chiedermi se la capacità di meravigliarsi fosse diventata obsoleta e una faccenda che non coinvolgeva più nemmeno i più piccoli, ormai abituati a mangiare pane e tecnologia e a vivere in una realtà dove tutto viene mostrato e spiegato.
Forse sono un po’ pessimista, ma sono convinto che la capacità di meravigliarsi andrebbe riscoperta, applicando metodi naturali come, per esempio, attraverso una trasmissione orale da genitori a figli, da nonni a nipoti come accadeva in tempi lontani prima che persino il cambiare di colore delle foglie diventasse una materia di moda e motivo per organizzare visite guidate alle foglie cadenti o cadute. Personalmente mi sento ancora in grado di meravigliarmi, di essere capace di perdermi dietro una fila di formiche, alle nuvole che passano e cambiano forma, alle ombre che il Sole disegna sulle cime dei monti o al frangersi delle onde del mare e a considerare il nostro come un pianeta delle meraviglie che è molto di più del paese di Alice immaginato da Lewis Carroll. Forse non è un caso se i due film dedicati ad Avatar, che tanto successo hanno riscosso, mostrano un mondo fantastico che è, in fondo, ispirato alla Terra e alle sue componenti animali, vegetali, minerali e paesaggistiche
Spingendomi molto lontano nelle mie riflessioni, a questo punto forse esagerate, arriverei a dire che la meraviglia può essere uno strumento di base per il progresso della scienza e in questo devo riconoscere di essere confortato dal parere di molti illustri studiosi. Per esempio Albert Einstein, che sapeva fare le boccacce e tirare fuori la lingua come un bambino impertinente, sosteneva che non si può fare altro che restare stupiti quando si contemplano i misteri dell’eternità, della vita, della struttura meravigliosa della realtà e che non bisogna mai perdere una sacra curiosità.
Essere curiosi e capaci di assaporare tutte le mirabilia (la parola latina da cui ha origine meraviglia e che deriva dal latino “mirari” che indica precisamente il sorprendersi, il meravigliarsi) non soltanto aiuta a crescere e a capire come funziona il mondo e perché funziona così e non cosà, ma probabilmente è alla base della carriera di molti scienziati.
Per concludere e trovare altre argomentazioni a favore della meraviglia, varrebbe la pena di leggere uno scritto poco noto di Rachel Carson, una scienziata tornata alla ribalta proprio l’anno passato e a cui La Rivista della Natura ha dedicato alcuni articoli e alla quale sono debitore di qualche etto della mia passione per il mare. Lo scritto in questione è The sense of wonder oggi disponibile in italiano con il titolo Brevi lezioni di meraviglia. Elogio della natura per genitori e figli (Aboca, Milano 2020, pp. 44).
Come racconta la Carson, da bambina trascorreva molto tempo a osservare uccelli, insetti e fiori incoraggiata in questo dalla madre (vedi un po’ dove ti possono portare certi genitori) e, infatti, scrive in questo libro alcune farsi che immagino chiudano perfettamente questo mio scritto lasciando ampio materiale per riflettere. Il brano in questione è questo:
“Il mondo del bambino è fresco, nuovo e meraviglioso, colmo di meraviglia e gioia […] Se potessi avere influenza sulla buona fata che si pensa presieda al battesimo di tutti i bambini, le chiederei che il suo dono ad ogni bambino del mondo fosse un senso della meraviglia così indistruttibile da durare tutta la vita, come un infallibile antidoto contro la noia e il disincanto degli anni a venire, le sterili preoccupazioni per le cose artificiali, l’alienazione dalle fonti della nostra forza”.
Arrivato sin qui potete buttare via quanto precede la citazione e meditare solo su questa con un’ultima chiosa da parte mia. Qualcuno duemila anni fa scrisse «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 18,1-5.10.12-14), un invito che si potrebbe declinare anche così «Se non diventeremo come i bambini, non salveremo la Terra».
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